Giulia Baccarin

Co-founder & Managing Director di MIPU

Laureata in ingegneria biomedica, fin dagli anni universitari si appassiona all’intelligenza artificiale sviluppando per il suo progetto di tesi un algoritmo predittivo per prevenire le cadute degli anziani. Dopo una lunga esperienza lavorativa tra Giappone e Corea del Sud, fonda nel 2012 MIPU: una sfida imprenditoriale innovativa con lo scopo di portare nelle fabbriche e nelle città tecniche predittive basate sull’IA per ridurre sprechi e costi, e aumentare al contempo sostenibilità e competitività.

Il gruppo MIPU si è sviluppato velocemente nel corso degli anni raggiungendo obiettivi importanti e fatturati in costante crescita, anche durante gli anni della pandemia.
Ad affiancare le quattro aziende storiche del Gruppo (Mipu Machine-care, dedicata alla Manutenzione; Mipu Energy Data, dedicata all’Energia; Mipu Ispiring, azienda di Ricerca&Sviluppo; Mipu Predictive Hub, il core team) l’ultima nata, Mipu Smartcities, che dal 2021 si rivolge alle amministrazioni pubbliche e agli enti locali, allo scopo di rendere i comuni italiani connessi e predittivi.

Gentile Giulia, si è laureata in Ingegneria biomedica sulla modellazione predittiva. Ci può raccontare il suo percorso di studi? Cosa l’ha portata a scegliere le materie STEM? La scuola le ha fornito un orientamento in questo senso? La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

All'inizio non è stato un percorso lineare. Avendo fatto il liceo classico mi sentivo più portata per un percorso umanistico. Poi mio padre mi ha indirizzato verso ingegneria: forse lui – come molti genitori sanno fare - aveva già “visto oltre” il mio futuro!
Sicuramente riteneva che una facoltà tecnica mi avrebbe aperto maggiori opportunità lavorative. Così da Dueville, in provincia di Treviso, sono andata vivere a Milano.
Da allora la mia vita è radicalmente cambiata.
I primi due anni di università sono stati molto duri, mi sono costati una fatica enorme. L'esame di Analisi uno l'ho ripetuto tre volte, ricorrendo anche alle lezioni private, ma è stato un buon allenamento alla resilienza, del quale ho fatto poi tesoro per la mia avventura imprenditoriale. E dopo quest'inizio in salita, ho capito il meccanismo e mi sono laureata con lode il 22 dicembre del 2004. A gennaio del 2005 ero già in Giappone con l'Executive Training Program che l'Unione europea fin dal 1975 aveva istituito per finanziare un anno di studio a giovani in Giappone o Corea, con l'intento di aumentare il business delle aziende europee verso quei Paesi.
Ed è stata una esperienza incredibile! A Tokyo studio management, creazione di impresa e gestione presso l’università di Waseda. Poi, sempre nell’ambito di questo Programma europeo, frequento la School of Oriental and African Studies di Londra, e lo Sciences Po, l'Istituto di studi politici di Parigi, dove sono passati importanti statisti.

Ha poi fondato Mipu, un acceleratore di imprese innovative che oggi ha oltre 60 dipendenti. Ci può raccontare brevemente di cosa si occupa, e come si è svolto il suo percorso lavorativo?

Diciamo che il mio pane quotidiano è l’analisi predittiva, cioè la capacità di utilizzare i dati per prevedere, attraverso algoritmi e motori matematici, i comportamenti futuri. Prendiamo – ad esempio -i dati di fabbriche, ospedali, aeroporti, stazioni, infrastrutture pubbliche e private per prevedere futuri guasti e ridurre sprechi ed inefficienze.
Capiamo fino a sei mesi prima se ci sarà un difetto nei condizionatori che tengono l’atmosfera pulita o nel motore di un nastro trasportatore, oppure interruzioni, incidenti od ostacoli lungo la massicciata delle rotaie ferroviarie. Ci chiamano anche i “medici delle fabbriche”.
Ma non solo: possiamo prevedere quale sarà il fabbisogno idrico di una città, il consumo energetico di un impianto o se lo stesso è destinato a usurarsi, identificando il 98% dei potenziali guasti con previsioni fino a 6 mesi di anticipo e riducendo fino al 20% i consumi energetici. Ancora: con l’AI è possibile monitorare le aree verdi e prevedere quando intervenire, costruire dei piani di manutenzione efficaci nel ciclo dei rifiuti urbani e molto altro.

Cosa l’ha portata alla scelta imprenditoriale?

Nel 2008 incontro due ragazzi belgi, Fabrice Brion e Arnaud Stiebenart. Arnaud era in Giappone a studiare il metodo Toyota, e io ero nel team di consulenti nell'azienda in cui si faceva quello studio. Avevano avviato un'attività in proprio per la manutenzione predittiva di macchine industriali come motori, pompe, compressori. Il progetto mi affascina da subito e diventiamo soci in I-care, che oggi ha la casa madre a Mons, nel Belgio francese, e -oltre a quella in Italia- ha altre sette sedi nel mondo, per un totale di 150 addetti. Quando li ho conosciuti, erano nella fattoria del nonno di Fabrice. Sono partita per Bruxelles e…cerca, cerca, trovo i miei due soci in una stanzina di 15 metri che era un laboratorio dell'olio industriale.
Ricordo che quella sera sono rientrata in albergo e ho pianto. Avevo 27 anni e un bel po' di incoscienza. A ripensarci col senno di poi è stato un colpo di testa, perché in Giappone stavo bene, ma l'idea mi era piaciuta e ho seguito il mio istinto. Fabrice e Arnaud volevano aprire in Italia, e io volevo tornarci per realizzare qualcosa nel mio Paese.
Ho così rifiutato l'offerta di una grossa azienda italiana di lavorare per loro in Giappone e mi sono ripresentata a casa dai miei genitori lasciandoli sconcertati. Era il Natale del 2008, avevano dato per scontato che la figlia sarebbe rimasta lì, in Giappone, destinata a una brillante carriera. E Invece… I primi quattro anni sono stati difficili. All'inizio il mio ufficio erano la casa e il telefono dei miei genitori.
Anche i primi dipendenti di Icare-Italia lavoravano nella stanza vicino al garage. Abbiamo cominciato con 4.900 euro, mai avuto prestiti bancari e mai investitori.
In banca mi dissero: “i tuoi soci non contano perché sono belgi e tu sei una donna, se resti incinta come faremo a riprenderci i soldi?”.
Nei primi due anni, e avevo già due dipendenti, la sera andavo a fare la cameriera in un ristorante.
Ma il problema era conquistare credibilità nel mondo della manutenzione industriale, dove gli interlocutori erano tutti maschi e molto conservatori. La nostra tematica era innovativa, e io ero la ragazza che si presentava lì a spiegare cose nuove a loro. A volte, per prendere appuntamento con i clienti facevo telefonare a mio papà e poi avevo preso un ragazzo in stage proprio con questa mansione.
Quando la società ha cominciato a marciare spedita, nel 2012 mi sono trasferita a Salò, e dall’incontro con Giovanni Presti, che aveva già un'azienda di software, nasce Mipu.

Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche? Ha mai incontrato difficoltà? Ricorda un episodio, un ostacolo che è riuscita a superare?

Le racconto questa: a Tokyo mi offrono subito un lavoro di consulente in una grande azienda giapponese, la Itochu.
Nel gruppo nipponico c’erano cinquemila consulenti, tutti giapponesi e quasi tutti uomini, almeno tra quelli che contavano qualcosa. Nei primi giorni, uno dei colleghi mi ha chiesto di fare il tè, e a scuola mi avevano insegnato che in Giappone le donne devono aprire la porta e fare il tè. Però, aveva aggiunto il mio teacher: “tu per fortuna, prima che essere donna sei straniera e quindi puoi metterti in una posizione diversa”.
Infatti ho risposto di no “alla richiesta del tè” e mi ricordo un secondo di silenzio totale e il blocco dell'operatività nella sala in cui stavano lavorando 200 persone. Da quel momento sono diventata un 'uomo' tra virgolette: andavo in giro con loro, ho partecipato a progetti ai quali non avrei mai avuto accesso, mancava solo che mi mandassero nel bagno degli uomini!

A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per orientare le giovani donne agli studi STEM? Cosa si potrebbe fare per migliorare le cose?

Personalmente, dedico molta parte del mio tempo ad incontri in cui sollecito le ragazze ad intraprendere studi scientifici, perché se vogliamo un futuro più inclusivo, dobbiamo mettere sufficiente diversità anche negli algoritmi.
Il rischio infatti è che le bambine di oggi si trovino a vivere domani in un mondo in cui emarginazione e pregiudizi nei confronti delle donne siano state amplificati dalla stessa intelligenza artificiale. Sta a noi impedirlo…
Per questo, con Mipu abbiamo inoltre aperto una sede nel Politecnico di Milano, finanziamo dottorati a Tor Vergata a Roma, e abbiamo diverse collaborazioni attive con gli atenei, sia per progetti di ricerca e sia per prendere le persone migliori. Tutto questo come imprenditrice.
Come cittadina ritengo invece vada innanzitutto implementata la programmazione di quelle che devono essere le competenze-chiave del Paese.

Spesso capita che le ragazze, pur avendo bei voti nelle materie STEM, hanno poi timore di non farcela a proseguire in quegli studi, o a volte che li considerano poco “creativi”. C’è qualche consiglio che si sente di dare a queste ragazze?

In Italia ci sono 200mila posti di lavoro vacanti in posizioni tecniche e tecnologiche (triennio 2019-2021, fonte: Confindustria). Una donna su due non lavora: studiare queste materie dà alle donne la possibilità di trovare un lavoro di soddisfazione. In particolare l’intelligenza artificiale rappresenta una grande opportunità. Nei convegni ai quali sono invitata, spiego cosa sia l’intelligenza artificiale e come sia necessario che la programmazione degli algoritmi sia opera di donne, disabili, immigrati, perché può coinvolgere ogni tipo di diversità, in tutti i ruoli chiave. L'intelligenza artificiale sarà l'opportunità futura non solo nel lavoro, ma anche per la consapevolezza di parità di genere all'interno delle comunità tecnico-scientifiche che la programmano. È una cosa nella quale credo e che ribadisco in ogni occasione.
Se mi permette infine, vorrei concludere questa piacevole conversazione dicendo alle nostre lettrici: con la leva giusta si può sollevare il mondo.
Tradotto nel linguaggio dell'industria suona più o meno così: grazie alle competenze non c'è mercato nel quale non ci si possa inserire!
Fondare un’azienda richiede cuore, testa, competenze e capitali. Ma a una donna servono doti “atletiche” supplementari per superare il gender gap che la crisi economica scava sempre più profondamente, soprattutto in Italia. Tra uomini e donne, quando si parla di opportunità di carriera, retribuzioni, agevolazioni nell’organizzazione della vita personale e familiare, non c’è parità. Nel periodo della pandemia inoltre le donne hanno visto peggiorare la loro presenza nei settori salute, istruzione e politica. Credo che ci sarà un progressivo cambiamento alla voce economic opportunity, ma occorreranno decine di anni per ottenere la parità sul posto di lavoro.
Intanto, però, è importante non aspettare e darsi da fare!

https://forbes.it/2021/05/07/limprenditrice-vicentina-che-prevede-i-guasti-nelle-fabbriche-con-lintelligenza-artificiale/