Valeria Chiono

Professore Ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino e coordinatrice del progetto europeo BIORECAR, finanziato dall’European Research Council (ERC)

Gentile Valeria, lei ha una Laurea Magistrale in Ingegneria Chimica e un Dottorato di Ricerca in Ingegneria Chimica e dei Materiali. Ci può raccontare cosa l’ha portata verso le materie STEM e questo corso di laurea in particolare?

La mia famiglia, inclusi i miei nonni, mi hanno sempre stimolato a leggere, esplorare e conoscere. Tuttavia, da bambina volevo fare la pittrice, la maestra e la ballerina.
Il mio percorso di studi è stato il frutto di scelte spesso istintive, assecondando le mie passioni nel mentre nascevano. Per esempio, durante il quarto anno del Liceo Scientifico, ebbi come insegnante di Chimica un professore molto bravo, uno di quei prof. a cui brillano gli occhi mentre spiegano. Mi incuriosii alla materia. Così, per approfondirne la conoscenza ed il suo legame con la Tecnologia, decisi di iscrivermi ad Ingegneria Chimica all’Università. Tra i tanti insegnamenti del corso di Laurea, il mio interesse iniziò a focalizzarsi sulla scienza e la tecnologia dei materiali, in particolare dei materiali polimerici, che furono poi il mio argomento di tesi. Nel periodo post-Laurea, invece, decisi di prendermi un po' di tempo per pensare al percorso da seguire e, nel mentre, lavoravo con contratti di ricerca all’Università. Fu il mio responsabile scientifico di allora a consigliarmi di intraprendere il Dottorato, perché non poteva “immaginare che potessi diventare altro se non una ricercatrice”. Applicai al concorso di Dottorato in Ingegneria Chimica e dei Materiali e fui selezionata. Da quel punto in poi, tutto fu più chiaro: mi appassionai all’Ingegneria dei Tessuti, quell’intreccio di ingegneria, scienza dei materiali, biologia e medicina, con l’ambizione di sviluppare nuove soluzioni tecnologiche per la salute umana. Penso che non potrei fare altro. Quando lavoro a qualche nuova idea, mi sento un po’ pittrice, quando insegno un po’ maestra e nel tempo libero ballo per alimentare nuove idee. Alla fine ho soddisfatto anche i miei sogni di bambina.

È coordinatrice di numerosi progetti di ricerca, finanziati dal Governo Italiano e dalla Comunità Europea. Nel 2017 le è stato assegnato il progetto BIORECAR e gestisce il Laboratorio Cellulare BIORECAR presso il Politecnico. Ci può descrivere in parole semplici la sua attività di ricerca?

La mia ricerca è finalizzata all’applicazione della bioingegneria alla risoluzione di problemi fondamentali nella medicina rigenerativa e comprende: lo sviluppo di biomateriali biomimetici, l’ingegneria dei tessuti, la preparazione di modelli in vitro di tessuti umani e la nanomedicina per la terapia con RNA. Il mio principale interesse ed ambito di ricerca è l'ingegneria del tessuto cardiaco. In particolare, il progetto BIORECAR ha l’obiettivo di rigenerare il tessuto cardiaco dopo un infarto. A tal fine, abbiamo sviluppato un gel iniettabile per il rilascio nel tessuto infartuato di nanoparticelle contenenti farmaci a base di piccole molecole di RNA (chiamate microRNA). I microRNA che usiamo sono in grado di “riprogrammare” le cellule che popolano la cicatrice cardiaca (i fibroblasti), trasformandole nelle cellule funzionali del tessuto cardiaco sano (i cardiomiociti). Attualmente stiamo validando la soluzione su modelli preclinici di tessuto cardiaco patologico umano, ottenuti in laboratorio attraverso la coltura di cellule cardiache umane su apposite strutture tridimensionali, dette “scaffold”. Inoltre, attraverso nuove collaborazioni, stiamo valutando la versatilità dei nostri sistemi iniettabili per altre applicazioni terapeutiche, ad esempio nel trattamento delle malattie neuromuscolari.

Oltre a tutto questo è anche Professore Ordinario presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale. È docente titolare di “Ingegneria per la medicina rigenerativa”, “Ingegneria delle cellule e dei tessuti” e “Laboratorio di modelli di tessuti e processi fisiologici”. Sempre al Politecnico di Torino, dove aveva lavorato prima come assegnista di ricerca post-dottorato e poi come ricercatrice. Dai primi anni fino ad arrivare in questi ultimi anni di insegnamento, ha visto aumentare la presenza femminile nei suoi corsi? Qualcosa è cambiato?

Si tratta di insegnamenti attivi presso la facoltà di Ingegneria Biomedica, che in realtà ha un trend differente da altre tipologie di Ingegneria e ha sempre avuto una preponderante presenza femminile.
Ultimamente le mie classi appaiono ben bilanciate e popolate equamente da studenti e studentesse.

Secondo lei, cosa si potrebbe fare per incentivare la presenza femminile nei corsi e nelle professioni STEM?

Per gli studi presso la Facoltà di Ingegneria Biomedica, nella quale insegno, penso che non occorra incentivare la partecipazione femminile, poiché già importante.
I percorsi di orientamento degli studenti delle scuole superiori, svolti all’interno delle Università e rafforzati dai finanziamenti del PNRR sono uno strumento importante per aiutare i giovani a conoscere con maggiore dettaglio gli argomenti di studio e i loro sbocchi professionali. Le inclinazioni personali dovrebbero poi fare la differenza, indipendentemente dal genere. Tuttavia, soprattutto per le donne, le scelte relative al percorso di studio sono spesso influenzate, più che per gli uomini, da altre considerazioni, come la volontà di trovare un compromesso tra gli impegni famigliari e il lavoro. Quindi nelle professioni STEM (e non solo) l’accesso delle donne ad alcuni ruoli, in particolare dirigenziali, è ancora limitato, sia per ragioni culturali sia per la carenza dei servizi di supporto alle famiglie. Probabilmente un maggiore supporto alle famiglie unito a una riorganizzazione del lavoro, magari ampliando i ruoli dirigenziali e riducendo il carico di lavoro su poche persone, potrebbe aiutare ad attenuare le differenze.

Quale consiglio si sente di dare alle giovani donne che vorrebbero intraprendere studi o professioni STEM ma hanno ancora incertezze e timori?

Penso che debbano seguire le loro passioni con dedizione, senza nessun condizionamento.
Come dicevo in precedenza, l’ambiente formativo in linea di principio è inclusivo, mentre i problemi possono subentrare in una fase successiva di inserimento nel mondo del lavoro. Per risolverli occorre una riorganizzazione radicale delle professioni e dei servizi di supporto alle famiglie, che auspicabilmente potrà esserci se sempre più donne seguiranno le loro inclinazioni e faranno sentire la loro voce.