Annalisa Polidori

MSc e PhD in Fisica.

Ha studiato in Italia laureandosi all’Università degli Studi di Perugia, per poi continuare il suo percorso di studi all’estero, tra Inghilterra e Francia come PhD, ed in Svizzera come Post-Doc.  Rientrata in Italia, ha contribuito a fondare la startup innovativa DeepTrace Technologies, dove si occupa dello sviluppo di tecnologie intelligenti e modelli predittivi basati su algoritmi di intelligenza artificiale, in particolare nel campo del monitoraggio di rischi di tipo ambientale.

Cosa l’ha portata a laurearsi in fisica? Come è arrivata a fondare una società innovativa come DeepTrace Technologies? Di cosa si occupa personalmente?

Il percorso universitario che mi ha portato prima ad ottenere la Laurea e poi il Dottorato di Ricerca in Fisica è stato tanto bello quanto impegnativo. Durante gli anni di studio ho avuto la fortuna di poter viaggiare molto, vivere diversi anni all’estero, arricchendomi non sono professionalmente ma anche umanamente. Come in ogni avventura che si rispetti, non sono mancati i momenti di difficoltà, che spesso si sono trasformati in occasioni fondamentali per crescere. Se dovessi dire perché ho intrapreso questo percorso, direi che la ragione principale è che sono una persona curiosa che non si accontenta di risposte superficiali, tendo a pormi molte domande, a voler capire in profondità le cose e a scoprirne i nessi. Negli anni del dottorato e del post-doc, ho svolto ricerca di base in centri di ricerca e università di eccellenza, e su argomenti anche molto affascinanti. Allo stesso tempo però mi piaceva l’idea di un lavoro che avesse un’utilità più immediata per la società. Non avevo in mente di fondare una startup, almeno sicuramente non nel breve termine, anche se il mondo dell’impresa mi ha sempre affascinata. L’incontro con quelli che oggi sono i co-fondatori di DeepTrace, è avvenuto un po’ per “serendipity”. La passione per il trasferimento tecnologico, ovvero portare alla società l’innovazione che avviene a livello della ricerca accademica, è una “mission” che mi entusiasma. L’aver trovato negli altri membri del team questo stesso spirito, supportato da eccellenti competenze scientifiche e di business, è stato, direi, lo slancio decisivo per iniziare questa avventura.

Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? E’ sempre stata portata per le materie STEM?

Io appartengo alla generazione dei millennials, la domanda “cosa farò da grande?” ci accompagna dai 10 ai 30 anni, per cui a volte me lo chiedo ancora..! Battute a parte, no, non ho mai avuto una spiccata intuizione per una particolare professione. A scuola riuscivo bene un po’ in tutte le materie e ho sempre amato anche quelle umanistiche. Le materie scientifiche, penso soprattutto agli ultimi anni del liceo, mi divertivano. Mi sono sempre piaciute le sfide.

La scuola le ha fornito un orientamento in questo senso? La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

Bisognerebbe capire cosa significa davvero “orientare”. A me è capitata una prof. di matematica che aveva fastidio ad usare il gesso e così dal primo giorno della terza liceo sono stata chiamata (per puro caso!) alla lavagna per scrivere al suo posto, sotto dettato. Siccome le è piaciuta la mia grafia, in tre anni non ho mai potuto distrarmi a lezione perché ero sempre alla lavagna, e non avevo un appunto sul quaderno. Il fatto di dover capire quello che scrivevo penso mi abbia aiutata ad essere più presente durante le lezioni e ad addentrarmi maggiormente nei loro contenuti. Oppure ricordo la prof. di scienze che era appassionata di meccanica quantistica e, non so dire perché, ma quell’argomento “strano” che ci ha proposto in terza liceo, così come comprendere la struttura dell’atomo, mi ha affascinata. Questi sono piccoli esempi della mia storia personale, ma credo che i professori siano fondamentali per un ragazzo per risvegliare la curiosità e scoprire una passione. Il rapporto con il professore, o un adulto appassionato al proprio lavoro, è il metodo più efficace per favorire un orientamento, perché un ragazzo è più facilmente colpito dagli esempi che dai discorsi.
La mia famiglia mi ha sempre sostenuta nel mio percorso e nelle mie scelte. Anzi, a dirla tutta, devo ai miei genitori il fatto di non aver abbandonato lo studio della Fisica al secondo anno, in un momento di crisi nera in cui pensavo di aver sbagliato indirizzo.

Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà? Ricorda un episodio?

Sinceramente, io non ho mai incontrato difficoltà legate a discriminazioni di genere nel mio ambiente lavorativo. Forse perché sono giovane, forse perché sono stata fortunata, ma devo dire che ho incontrato praticamente sempre galantuomini e non sono mai mancati attestati di stima (quando meritati) da parte dei miei capi uomini. E poi ho anche avuto delle responsabili di progetto donne. Il loro modo di lavorare mi ha mostrato che oggigiorno il giusto mix di merito e carattere permettono anche ad una donna di avanzare nella propria carriera, senza rinunciare ad avere una famiglia.

A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per orientare le giovani donne agli studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

Sono rientrata in Italia da poco più di un anno, e mi sembra che ci sia un’attenzione molto alta sul tema delle donne STEM nel nostro paese. Come detto in precedenza, io penso che la chiave stia nell’incontro con esempi positivi che possano incuriosire e far scoprire una passione.
Detto ciò, io credo che l’attenzione da avere nei confronti dei giovani debba essere quella di aiutarli a scoprire e scegliere ciò che veramente li appassiona. Mi rendo conto che i dati complessivamente dicono di uno sbilanciamento tra uomini e donne nelle professioni STEM, ma credo che il messaggio giusto da comunicare ai giovani sia “scoprite ciò che vi appassiona, fatelo al meglio e siate creativi”.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

A ciascuna di loro direi semplicemente che se ha scoperto una passione, ha volontà e dedizione per iniziare la strada, che parta senza paura! Non possiamo permetterci di sprecare quello che più ci rende vivi e potenzialmente capaci di trasformare in meglio noi stessi e la realtà intorno a noi. Ci vuole una bella dose di fiducia in se stesse, che a volte può mancare, ma bisogna avere il coraggio di buttarsi e scoprire il proprio valore!