Arianna Renzini

La scienziata che studia i buchi neri e altri misteri dell’universo profondo

25/02/2024

Nata a Bologna, 31 anni, laureata con lode in fisica teorica. Ha sviluppato la tesi di laurea magistrale all’Imperial College di Londra, grazie a una borsa di studio Erasmus. Comincia ad approfondire lo studio delle onde gravitazionali grazie ad una borsa di studio Schrodinger. Conseguito il dottorato nel 2020, entra come ricercatrice al Caltech (California Institute of Technology) di Los Angeles. Nel 2022 ha vinto la borsa post dottorato Marie Curie Fellowship, tra più prestigiose a livello internazionale, con la quale nell’autunno 2023 rientra in Italia all’Università di Milano Bicocca. Nel Giugno 2023, è tra le scienziate vincitrici del Premio L’Orèal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza con il progetto “Svelando il fondo di onde gravitazionali”, un innovativo approccio allo studio dei buchi neri binari.

 

Arianna, si è laureata in fisica teorica e specializzata in cosmologia e relatività generale. Com’è giunta a questa scelta? E’ sempre stata portata per le materie STEM fin da piccola?

Non ricordo un momento in cui sia “scattata” la mia passione per le scienze; da che ho ricordo, ho sempre avuto interesse per la natura e per i meccanismi che la governano. Questo interesse è sempre stato stimolato e nutrito dai miei genitori, anch’essi entrambi fisici/astronomi, coi quali c’è sempre stato un dialogo aperto sulla realtà e anche sul futuro.
La Fisica è diventata una passione durante il Liceo: a me in realtà piacevano tutte le materie e mi interessava un po’ tutto, anche gli argomenti artistici, ma la scienza e la Fisica in particolare aveva qualcosa in più; era un puzzle, un’enigma da risolvere, e questo la rendeva irresistibile. La prof. di matematica e fisica poi al mio Liceo Scientifico era molto preparata e stimolante, mentre i docenti degli altri corsi a tema STEM lo erano meno. Penso questo abbia influito sulla mia scelta di fare Fisica rispetto a, per esempio, medicina o biologia.

Dopo la laurea il suo percorso di studi e lavorativo l’ha portata a Londra e a Los Angeles. Ha ricevuto offerte da tutto il mondo, ma ha scelto di rientrare a Milano, nel gruppo di astrofisica del dipartimento di Fisica della Bicocca, dove proseguirà la sua ricerca sui buchi neri più lontani nell’universo profondo. Ci può raccontare i motivi della sua scelta di rientrare in Italia? Quali sono i suoi progetti per il futuro? Ha un sogno nel cassetto?

Ho scelto di rientrare in Italia avendo vinto una borsa europea MSCA, che è molto prestigiosa (nonché remunerativa). Ho scelto di applicare a questa borsa su Milano in quanto ha un gruppo di onde gravitazionali giovane e dinamico, e con interessi scientifici trasversali e connessi ai miei. Da questo punto di vista, pochissimi gruppi in Europa (escludendo giusto i grossi centri di ricerca come l’Albert Einstein Institute in Germania) vantano i nostri numeri. Onestamente, quando sono partita per l’Inghilterra non pensavo a tornare, e pensavo non mi interessasse; poi dopo 8 anni all’estero, io e mio marito (anche lui italiano), vista questa opportunità, abbiamo deciso di fare una scommessa: vediamo se riusciamo a rientrare in Italia e stare bene, con dignità pari a quella che abbiamo avuto in UK e USA. Ora sto applicando a molti bandi e concorsi per poter vincere una posizione permanente a Milano o comunque in un centro Italiano di eccellenza. Vorrei finalmente potermi occupare di ricerca senza pensare alla scadenza del mio contratto, e anche sviluppare tutte le attività che finora ho dovuto fare nei ritagli di tempo, come i progetti “Primavera delle Pari Opportunità” di STEAMiamoci. Una grossa motivazione del mio rientro in Italia è che vorrei poter iniziare a contribuire, oltre che alla comunità scientifica globale, anche alla società al di fuori della mia “bolla accademica”. Penso che in generale l’impegno sociale sia più facile da intraprendere da cittadina, e inoltre penso di sentire un richiamo più forte proprio dal mio paese, che penso ne abbia molto bisogno. In sintesi, non sogno solo di essere “una che ce l’ha fatta”, ma una che ha aiutato ad aprire la strada, anzi magari tante strade, verso un futuro più paritario e sereno per tutti.

Nella sua esperienza di studio e di lavoro in un ambito quasi esclusivamente maschile, ha mai avvertito il gender gap? Per esempio le è capitato di essere l’unica donna in aula, in un meeting o a un convegno? Come si è sentita, come ha reagito? Secondo lei, anche in confronto agli altri Paesi dove ha vissuto, nel nostro Paese esistono ancora barriere che impediscono alle ragazze di avvicinarsi agli studi STEM o alle giovani donne di fare carriera in queste professioni? Cosa si potrebbe fare per migliorare le cose?

Nel mio percorso, sono senz’altro stata occasionalmente l’unica donna in un’aula o ad un meeting, e tra le poche ad un convegno (con magari ancora meno tra le speaker!). Il gender gap si sente, eccome: dal fatto che meno donne si iscrivono a Fisica rispetto a uomini (sintomo della cosiddetta “segregazione di genere” all’università), al fatto che meno donne rispetto a uomini continuano questo genere di studi e ricerche (la cosiddetta “leaky pipeline”). Inoltre, è provato che nel nostro paese ci sono manifestazioni del cosiddetto “sticky floor” per le donne, ovvero che le donne fanno più fatica degli uomini a progredire nella carriera (e.g., essere promosse da professore associato ad ordinario). La mia esperienza mi ha confermato questi sintomi, che mi hanno spesso messa a disagio e scoraggiata dal continuare nella ricerca. In particolare, non vedendomi rispecchiata nella comunità scientifica senior, ho spesso assunto che non mi sarei poi trovata bene nel lavoro in futuro.
Nonostante negli anni si veda che c’è una tendenza verso più parità (per esempio, ci sono più dottorande in Fisica ora rispetto a quando mi iscrissi io), ma il processo è lento e deve partire da molto prima che l’università. è difficile per me confrontare con precisione il nostro paese con quelli esteri, dato che ho passato la maggior parte della mia carriera accademica all’estero, e che c’è molta differenza nella rappresentanza femminile ai vari livelli di professionalità in ambito accademico. Quello che sento più forte in Italia, rispetto al resto dell’Europa e agli USA, è il pregiudizio verso le donne e quello che sarebbe il loro ruolo sociale (perché questo dovrebbe essere diverso da quello degli uomini?). Il pregiudizio esiste ovunque, ma trovo che in Italia, forse perché si è culturalmente più diretti e aperti, si sente di più. Quindi, per migliorare le cose, bisogna partire dalla cultura, e quindi dalla scuola, anche (e forse soprattutto!) primaria.

C’è qualche consiglio che può dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada ma hanno ancora incertezze e timori?

Penso che il consiglio migliore che posso dare è di non avere paura, e di non preoccuparsi troppo presto del futuro se si è interessate alla scienza e alla ricerca. Ci saranno sempre più opportunità, e il mondo continuerà a cambiare - ma cambierà più lentamente se ci lasciamo scoraggiare. Il richiamo della ricerca scientifica è un dono e bisogna lavorare per consentire a tutti, e in particolare tutte le attuali minoranze, di metterlo a frutto. Non parlo solo della ricerca in ambito accademico — una laurea in una materia STEM è richiesta da tantissimi lavori (soprattutto nel settore privato), e master e specializzazioni di alto livello sono una marcia in più.

Infine, in questi giorni ha partecipato al nostro progetto Primavera delle Pari Opportunità, ed è andata a parlare delle STEM ai bambini della scuola primaria Porta Agnesi di Milano. Le siamo molto grate per questo! Le amiche di STEAMiamoci che erano presenti mi hanno raccontato l’entusiasmo dei bambini, che le hanno fatto mille domande. Le bambine in particolare sono rimaste molto ispirate dai suoi racconti. Lei come si è sentita? Cosa le ha lasciato questa esperienza? La consiglierebbe a qualche sua collega?

È stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita, e la consiglierei a tutti i miei colleghi! Non immaginavo a cosa andassi incontro - non ho esperienza coi bambini, e non avevo idea di che tipo di preparazione avessero le classi di terza, quarta, e quinta elementare. Sono stata travolta dalle loro domande (scientifiche e ben poste!), e spero di avergli dato un esempio di scienziata che contrasterà i preconcetti culturali della nostra società. La loro irrefrenabile curiosità mi ha ricordato perché la ricerca è una esperienza umana così basilare: perché nutre e cresce la parte bambina dentro di noi.