Arianna Traviglia

Archeologa, specializzata in geomatica e sistemi informativi territoriali Senior Researcher - Principal Investigator - Center Coordinator Centre for Cultural Heritage Technology (CCHTCaFoscari) - Istituto Italiano di Tecnologia

Gentile Arianna, si è laureata in archeologia, poi ha conseguito un dottorato in geomatica e sistemi informativi territoriali e una specializzazione in analisi di immagini da aereo e satellite. Dal 2019 è direttrice del Centre for Cultural Heritage Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) a Venezia. I suoi studi nell’ambito del machine learning applicato all’archeologia, sono pionieristici e saranno impiegati in futuro in tutto il mondo. Ci può raccontare come è nato questo suo inedito percorso di studi, e in cosa consiste il suo lavoro?

Ho scelto un percorso “ibrido”, da prima mi sono laureata in archeologia e poi ho aggiunto un dottorato in ingegneria, ho acquisito competenze che legano due mondi molto diversi, quello dei beni culturali e le scienze. Competenze che unisco nel nuovo centro che è chiamato “Centre for Cultural Heritage Technology” dell’Istituto Italiano di Tecnologia dedicato alle nuove tecnologie per i beni culturali. All’interno abbiamo una fortissima multidisciplinarietà, ci sono storici dell’arte che lavorano a fianco di informatici, esperti di robotica, di intelligenza artificiale, chimici e ingegneri dei materiali. Lavorano insieme e creano linguaggi comuni, prendendo in considerazione una moltitudine di potenziali problemi, che ci sono quando si creano metodiche che applicano l’informatica, l’intelligenza artificiale, la chimica per creare prodotti per i beni culturali. Ad esempio elaborano dati rilevati dal satellite per scoprire nuovi siti archeologici e proteggerli prima che li si incontrino quando si iniziano lavori in un territorio. Dal punto di vista della chimica, parlando molto in generale, ci occupiamo della creazione di coating protettivi, dei film sottilissimi rimovibili da applicare sui beni culturali per proteggerli, materiali che allo stesso tempo sono sostenibili non solo per l’ambiente ma anche per la persona, in questo caso per i “conservatori” (ci sono state anche delle morti per i prodotti dannosi impiegati in passato). Proprio su questo abbiamo vinto in questi giorni un importante finanziamento europeo per il progetto “Go Green” dedicato a questo sviluppo di prodotti altamente sostenibili ma di cambiare la mentalità di chi si occupa di produrre questi materiali.

In questo suo percorso sono state importanti le materie STEM? È sempre stata portata?

Sono stata sempre attratta fin da piccola dall’archeologia, ma poi studiandola mi sono accorta del gap enorme, delle potenzialità inesplorate nel campo delle scienze in Italia in queste tecnologie e quindi ho dovuto accedere alla facoltà di ingegneria per il dottorato e non è stato facile, provenendo da studi umanistici, liceo classico, storia, ma ce l’ho fatta. Sarebbe stato impossibile fare ciò che faccio ora senza questa parte tecnico-scientifica. Non è stato facile, per i primi due anni ho letto tanto, anche sull’agricoltura di precisione (che 20 anni fa era meno nota), in quel caso i meccanismi che analizzavano le variazioni delle biomasse vegetali potevano essere utili all’archeologia. Quindi quello che ho fatto è stato un innesto di competenze, che mi ha permesso prima di tutto di creare una forma mentis aperta, perché conoscere tante cose ti fa capire come incastrarle. Ad esempio la tipologia di analisi del telerilevamento del suolo è simile al sistema che usiamo per analizzare un quadro antico. Adesso sto studiando le potenzialità della robotica, sto cercando con i robotici di trovare un linguaggio comune di collaborazione scientifica.

Secondo lei, esistono ancora ostacoli per le donne negli studi o nelle carriere STEM?

Diversi anni fa, quando sono entrata io nel dottorato, siamo entrati in 7 ed ero l’unica donna, anche tra i professori ricordo un’unica donna ingegnere. Non c’erano grosse difficoltà o ostacoli, tuttavia è vero che crescendo, durante la carriera ad esempio nella ricerca scientifica, man mano si sale ai livelli apicali ci sono sempre meno donne, naturalmente non lo dico io, è un dato di fatto.

Spesso capita che le ragazze, pur avendo bei voti nelle materie STEM, hanno poi timore di non farcela a proseguire in quegli studi, o a volte che li considerano poco “creativi”, le vedono come materie fredde e aride. Lei cosa ne pensa? C’è qualche consiglio che si sente di dare a queste ragazze?

La questione non è se le donne sono più creative degli uomini o se in quanto donne possono fare meglio, in passato c’erano bias, cose da maschi e cose da femmine, ma ora penso che si stia diffondendo il concetto, direi scontato, che le donne hanno svariatiinteressi culturali e la scienza ha bisogno di creatività e pensiero. In ogni caso, parlando di creatività le scienze non devono essere viste come applicazioni di step scientifici senza creatività. Ricordo un articolo che mi aveva colpito e diceva che “PHD” (Philosophy Doctor) è la stessa definizione che si usa anche per i dottori nelle scienze, questo perché in passato le materie umanistiche erano molto più studiate anche all’interno dei percorsi scientifici, proprio perché formano la mente e la creatività è fondamentale nelle scienze. Permette una maggior qualità, e noi dobbiamo formare menti matematiche che siano anche creative, non solo una mentalità da tecnici di laboratorio.
Invece secondo me sta accadendo un’altra cosa, vedo che le ragazze mandano l’application solo se sono certe al 95% di essere qualificate e rispondono in pieno a tutti i requisiti, mentre i maschi si buttano comunque anche se non lo sono per niente qualificati, sono tra l’audace e il menefreghista. Le ragazze si fanno mille problemi, invece dovrebbero buttarsi, anche se non hanno proprio tutte le caratteristiche. Se io non l’avessi fatto non sarei qui. Andrebbe spiegato un po’ meglio che nelle application sono espressi i desiderata dell’azienda. Anche se manca qualche caratteristica, le ragazze possono però spiegare se magari quelle che hanno possono essere anche più utili, motivare. Io cerco sempre di caricarle, spronarle, incoraggiarle. Questa forma mentis è un retaggio culturale del passato. Era la società di un tempo, quella in cui sono cresciuta anche io, che fin da bambine ci invitava a stare buone e ad essere remissive, una cosa che ho sempre trovato estremamente sbagliata, perché plasma un modello di bambina-ragazza-donna che ha maggior difficoltà a tirare fuori la propria voce e far valere le proprie idee. Le cose stanno cambiando ma mai abbastanza velocemente. Io voglio dire alle bambine che hanno una voce, e devono usarla, ogni volta che è necessario devono tirarla fuori. E chi arriva in posizioni apicali ha il dovere morale di incoraggiare le nuove generazioni di ragazze ad avere grinta, devono lavorare su di se e tirare fuori la grinta.


Corriere 21/4/21 – Arianna Traviglia, l’archeologa 3.0 che insegna ai computer come scovare i reperti

https://www.corriere.it/cronache/21_aprile_06/arianna-traviglia-l-archeologa-30-che-insegna-computer-come-scovare-reperti-4b7d93d8-9705-11eb-b9bd-e7351dbb7d6a.shtml

Palazzo Ducale – 26/1/21 – Arianna Traviglia: “Le tecnologie del futuro che ci aiutano a capire e conservare il nostro passato”

 

Repubblica 11/2/20 – Donne e scienza, una di tante: i volti della ricerca italiana (IIT)

https://video.repubblica.it/dossier/gender-gap/donne-e-scienza-una-di-tante-i-volti-della-ricerca-italiana-iit/353795/354363

IIT 10/12/19 – Arianna Traviglia presenta IIT alla NSE

 

RaiPlay 12/2/19  – Vita da Ricercatore Arianna Traviglia

https://www.raiplay.it/video/2019/02/MEMEX-DOC-PT-119-ARIANNA-TRAVIGLIA-web-6e627fff-2606-4f6d-a2cb-5ed5d22fb019.html