Cinzia Serra

Principal Solution Architect Dell Technologies

Gentile Cinzia, lei ha un diploma di Perito Informatico conseguito alla fine degli anni ’80, quando ancora non era una scelta così frequente per una ragazza. Ci può raccontare come è giunta a scegliere le materie STEM? È sempre stata portata fin da piccola?

Diciamo che la scelta è stata assolutamente non razionale, mi volevo dissociare dal consiglio delle professoresse delle scuole medie che mi avrebbero visto bene in un istituto magistrale. Sfortunatamente per loro ma fortunatamente per me, io ho sempre avuto uno spirito ribelle e una voglia incredibile di uscire dal piccolo paese in cui sono nata e cresciuta per esplorare le novità e quindi ho scelto tra le proposte quella di cui meno si aveva informazioni, che mi sembra la sfida maggiore, quella che a sensazione avrebbe potuto essere la mia porta per entrare nel mondo delle grandi occasioni.
A distanza di anni sono felice di aver azzardato perché sin da subito io e la tecnologia ci siamo incontrate e divertite a crescere insieme.
Il mio primo computer è stato un Olivetti M19, con due floppy disk da 5 ¼ e senza hard disk, regalato dai miei genitori che all’epoca non sapevano neppure cosa fosse un PC, non a caso si erano rivolti ad amici che lavoravano nel settore, che dire …. È stato amore a prima vista. Ho iniziato a programmare in Pascal, oggi qualcuno potrebbe chiedere “chi?”, no, non è una persona, è un linguaggio piuttosto arcaico ma che è alla base anche della programmazione moderna. Usavo i due floppy del mio Olivetti per gestire come potevo i backup per la protezione del mio operato, altro che cloud per le copie …, allo stesso tempo seguivo i corsi obbligatori di meccanica ed elettronica dove non ho mai avuto alcun problema ad interfacciarmi con il mondo prevalentemente maschile, a parte per le mie unghie che non sono mai cresciute a dovere, ma in fondo si sa: le differenze le creiamo noi adulti. Senza condizionamenti esterni i bambini/ragazzi/giovani in generale riescono ad interagire benissimo ed io sono l’esempio che le donne possono meravigliosamente esser parte di quest’area. In pratica sono cresciuta dietro la spinta della tecnologia e dell’innovazione che da esso ne deriva, mi sono lanciata nel mondo del lavoro praticamente finito i 5 anni di superiori e lì ho davvero capito di esser entrata nel settore del futuro. Ho avuto la fortuna di poter continuare a studiare ed evolvere ed ancora oggi sono fortemente convinta che sia proprio la continua evoluzione della tecnologia che mi permette di non invecchiare cerebralmente.

Ha costruito la sua carriera in Oracle e Sun Microsystem, da diversi anni è in Dell Technologies dove è Principal Solution Architect & CTO Ambassador. Ci può descrivere brevemente di cosa si occupa?

Mi occupo di prevendita in linea generale, sono il riferimento per il posizionamento di tutto il portafoglio dei prodotti e delle soluzioni di Dell Technologies per uno dei top player in abito telecomunicazioni qui in Italia, ma collaboro costantemente in gruppi cross-country essendo il mio cliente un gruppo internazionale. Inoltre, grazie alla mia decennale esperienza nel mercato Telco, sono il Telco Regional Sponsor della comunità di prevendita per l’area WER (West Europe Region). In aggiunta a quanto detto faccio parte della community dei Chief Technology Officer di Dell Technologies WW, in particolare mi occupo di Innovation, con il compito di pubblicizzare quali innovazioni DT sta portando sul mercato ed eventualmente farmi portavoce verso l’engineering delle richieste dei vari settori/mercati/paesi.

Come è cominciata la sua carriera dopo gli studi? Quali sono state le scelte che ha dovuto affrontare?

Come già detto in precedenza non ho avuto alcuna difficoltà a trovare impiego agli inizi degli anni 90, la richiesta era tanta ma le persone davvero disposte a mettersi in gioco ancora poche, dico “mettersi in gioco” perché all’epoca entrare nel mondo del lavoro, in una software house significava affrontare una sfida mai provata prima, quando studiavo io non c’era la possibilità di fare alternanza scuola/lavoro, non c’erano le aziende che venivano in classe a spiegarti cosa si aspettavano dalla generazione in arrivo e soprattutto non c’era Internet su cui documentarsi e vedere cosa accadeva anche in altri paesi. Entravi e all’improvviso capivi a cosa fossero serviti gli anni a studiare gli schemi logici o ad usare gli array per creare sequenze di dati.
Il mio primo capo, al primo giorno di lavoro mi ha messo davanti un M24 e un tomo di manuali Oracle v5.0 dicendomi che mi avrebbe lasciato 3 giorni per ambientarmi. È stato uno shock, alla fine della prima giornata avevo capito che Oracle era meglio di un foglio Excel ma ancora non capivo come avrei potuto usarlo. Ovviamente non ho atteso il terzo giorno, al secondo mi sono rivolta al capo che con un grosso sorriso mi ha detto “bene, è esattamente ciò che speravo, finalmente una sveglia che chiede e non perde tempo” e da qui è iniziata la mia avventura fatta di infinite sessioni con colleghi, capi, clienti e partner sempre ad ascoltare attentamente le esigenze, chiedere senza mai avere timore di fare brutta figura se qualcosa non era chiaro e poi usare il mio skill ma soprattutto l’inventiva per proporre, sperimentare e sviluppare cose sempre nuove, sfruttando prodotti e/o soluzioni dove possibile e dove non lo era, creando nuove idee.
Non posso dire che non sia faticoso, lo è eccome, ma riuscire a dar vita a nuova architettura tecnologica per i clienti e vedere cosa ne possa scaturire in termini di business per loro è qualcosa di emozionante per me, un po’ come credo lo sia per un pittore che dipinge una tela partendo da qualcosa di visto nella realtà ma poi lo arricchisce con la sua fantasia.
Di scelte ne ho dovute fare di certo tante, le due più grosse sono state:
• la prima decidere che fare 240km al giorno per me non era un problema e che potevo farcela, come vi ho detto arrivo da un paese in provincia di Vercelli (Piemonte) ma ho sempre lavorato per aziende del Milanese dove il mondo della tecnologia e la presenza di corporate Americane mi hanno dato maggiori possibilità. Questo, quanto non esisteva ancora lo smart working, ha richiesto di dedicare molte ore del mio tempo libero in macchina, con tutti che mi dicevano che ero una folle a non avere un appartamento in città. Ho imparato presto a sfruttare i tempi morti usando il telefono per portarmi avanti con i meeting con i clienti o per mettere a punto alcuni progetti con i colleghi, ma non ho mai trasferito la mia residenza in città ed anche questa si è rivelata con l’arrivo del COVID-19 una scelta vincente perché ho avuto modo di passare il periodo delle restrizioni in una casa limitrofa al bosco dove lavorare, grazie alla banda larga ormai diffusa, è stata una passeggiata di salute;
• la seconda decidere di crescere i miei due figli (oggi 14 e 18) usando i nidi praticamente dai 6 mesi di età dei ragazzi e poi mix di dopo scuola, medie stile college con copertura pomeridiana delle lezioni e tante babysitter che con il tempo sono diventate più taxiste per poter dare ai miei figli la possibilità di fare sport a livello agonistico sebbene con due genitori sempre fuori casa. Di certo avere un marito che lavora nel settore e comprende i ritmi a cui siamo tenuti mi è stato d’aiuto moltissimo, ma più di tutto lo è stata la mia determinazione a non voler perdere mai il passo e quindi non ho mai smesso di lavorare per seguire solo la famiglia, anche qui ho usato la fantasia ed ho coperto le mie assenze settimanali con persone di fiducia che con gli anni sono diventate di famiglia e recuperando il tempo con i ragazzi il weekend, nelle festività e durante le ferie. Non mi sono mai pentita, i ragazzi sono cresciuti forti ed indipendenti ed ora stanno affrontando la loro adolescenza sapendo di aver alle spalle una famiglia unita che li può supportare in questo nuovo mondo dove la tecnologia è un MUST ma soprattutto dove l’essere interconnessi ci permette di lavorare, studiare ed evolverci senza più barriere di distanze, traffico o tempo.

Il ruolo di Chief Technology Officer è ancora oggi prevalentemente un ruolo maschile. Nel suo percorso ha percepito differenze di genere? Lei stessa ha incontrato difficolta? Ha un episodio da raccontarci?

Purtroppo sì, nel mio gruppo la presenza femminile è abbondantemente sotto il 5%, ma io credo che la maggiore causa sia da imputare molto a noi donne, nella mia società sono fortemente convinta che ci siano pari opportunità per tutti, la differenza la fa il modo in cui ciascuno di noi decide di cogliere o meno le sfide che ci vengono presentate.
Io non mi sono mai fatta problemi ad osare, ma parlando con altre donne mi sono accora che non tutte la pensiamo allo stesso modo, molte sono insicure e spaventate che un mondo prevalentemente maschile possa in qualche modo influire negativamente, ma io sono invece fermamente convinta che sia un problema che ci creiamo noi stesse. Sicuramente all’inizio dobbiamo lavorare un po’ di più per guadagnarci la fiducia e magari a volte dobbiamo dimostrare più di altri perché qualche elemento con idee ancora un po’ retrograde di certo si può incontrare, ma se noi stesse siamo convinte delle nostre potenzialità e non ci sconvolgiamo se ci chiedono di dimostrare ed anzi lo facciamo con entusiasmo e passione, di certo otterremo un trust che probabilmente sarà decisamente più saldo e duraturo di chi invece è stato incluso sulla parola e che magari al primo errore perde di credibilità. Chi invece ha lavorato duro ed ha sempre mostrato il suo valore forse avrà una seconda possibilità senza troppe difficoltà perché poi davvero varrà la regola del “chi fa può sbagliare”.
La cosa che più mi fa rabbia onestamente è sapere che quando ottengo una promozione nel retropensiero di qualche uomo c’è il pensiero: “la quota rosa mandatoria delle nostre aziende di certo l’ha aiutata”, ecco questo è quello che più mi ferisce, non capisco perché per avere un ambiente davvero omnicomprensivo le aziende debbano imporre delle quote, io preferisco avere più possibilità di dimostrare anche se a costo di maggiore sforzo. Onestamente sono convinta di aver sempre meritato sul campo ogni mio avanzamento di carriera e vorrei davvero vedere in un prossimo futuro tante altre donne convinte come me che ce la si può davvero fare ovunque lo si voglia. È solo questione di forza di volontà ed impegno. Conosco una donna meravigliosa che seppur affetta da sclerosi multipla ha partecipato e portato a termine l’Iroman, circa 4 km di nuoto, 180 km in bicicletta e 42 km di corsa. Se lei è riuscita ad abbattere le barriere fisiche non vedo perché noi tutte non possiamo abbattere delle barriere di pensiero.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada ma hanno ancora incertezze e timori?

Guardare oltre ai timori, questi ci saranno sempre nella vita, in ogni occasione può nascere un dubbio, dietro ad ogni sfida si nasconde una difficoltà, ma se ci immaginiamo il traguardo che vogliamo raggiungere e sogniamo come farlo diventare realtà, studiare o lavorare sarà più semplice, saremo più motivate, avremo uno scopo e quindi saremo più resilienti.
È fondamentale nella vita scegliere sempre ciò che si ama fare anche a dispetto delle situazioni o del parere altrui, io ne sono un esempio, l’importante è imparare a credere di più in se stesse e per farlo la cosa migliore è avere un mentor, una persona a cui chiedere supporto e con cui confrontarsi se si hanno dei dubbi. Nella mia carriera professionale sono stata mentee per molto ed ora sono mentor e credetemi anche lo scambio bidirezionale tra i due ruoli è fondamentale e ci fa acquisire competenza, forza e sicurezza.