Costanza Colombo

Ingegnere Aerospaziale, Metallurgista - Innovation Metallurgy Specialist at Agrati Group

Gentile Costanza, si è laureata in Ingegneria Aerospaziale. Com’è giunta a questa scelta?

Scelsi Ingegneria perché ero curiosa di capire come funzionavano le cose, scelsi Aerospaziale perché volevo costruire astronavi. Posso quindi incolpare sia la Lego che Asimov.

E’ sempre stata portata per le materie STEM fin da piccola?

Fin da bambina sono stata stimolata ad approfondire tematiche scientifiche da mia madre, laureata in Scienze Naturali (e quasi in Biologia). È lei il mio personale Role Model STEM. Per tutta la sua carriera di Professoressa di Scienze e Chimica alla Scuola Secondaria di II grado, ha incoraggiato ad intraprendere questo tipo di studi non soltanto la sottoscritta ma anche generazioni di studenti e studentesse. Molte delle sue ex-alunne ricoprono ruoli di cui andare orgogliose.
Tornando a me, che si trattasse di una passeggiata in un bosco, orto botanico o una visita ad un museo di Scienze Naturali, ogni occasione era buona per scoprire qualcosa di nuovo insieme. Lo stesso accadeva con le discipline umanistiche, dato che anche mio padre, Professore di Lettere e Storia, faceva altrettanto per le sue materie… alla fine però ha vinto l’ambito scientifico, almeno professionalmente. Nel tempo libero scrittura e letteratura la fanno comunque da padrone.

Cosa sognava di fare “da grande”?

Non l’Astronauta! La risposta a questa domanda è mutata nel corso degli anni finché, durante il corso opzionale di “Corrosione” del Prof. De Sanctis, mi sono imbattuta nella Failure Analysis, grazie ad un laboratorio applicativo in cui dovevamo risalire alla causa di un guasto di un componente metallico. Fu allora che iniziai ad appassionarmi a questa disciplina al punto da volerla rendere professione.

La scuola le ha fornito un orientamento universitario?

Ricordo di aver partecipato ad una sola mattinata di orientamento universitario. Spero che, oggigiorno, ci siano un maggior numero di iniziative mirate e maggior accessibilità alle informazioni necessarie per una scelta più consapevole.

Oltre all’orientamento nella selezione del percorso post Diploma, sarebbe auspicabile una migliore integrazione tra i programmi del biennio finale della Scuola e quelli universitari. Ho affrontato Ingegneria dopo essere stata promossa col massimo al Liceo Scientifico tradizionale. Ciò nonostante, inizialmente ho fatto fatica con alcune materie dell’ambito matematico-fisico diversamente da altri compagni di corso che, avendo già ricevuto una buona infarinatura alle superiori, hanno vissuto di rendita l’assestamento (comunque non banale) tra Scuola e Accademia.

La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

Nella scelta e non solo. I miei genitori mi hanno supportata per tutto il cammino, dai primi anni di pendolarismo in cui mio padre, nonostante le sue tre Lauree, si era autoproclamato autista per la stazione ferroviaria, passando per le serate estive trascorse a ripetere nozioni per gli appelli (mia madre si ricorda ancora la classificazione delle leghe d’Alluminio mentre ha piacevolmente rimosso la dimostrazione dell’effetto giroscopico) fino ai traslochi nazionali e internazionali. Non una volta mi hanno fatto sentire il peso del loro sacrificio quando mi sono trasferita all’Estero. Anche adesso viviamo comunque a 4 ore di auto di distanza ma sono entrambi felici che abbia trovato una professione che mi dia una tale soddisfazione. E poi ci risparmiamo le code in aeroporto!

Ci può descrivere il suo percorso professionale?

Uscii dall’Università credendo di non essere tagliata per fare (davvero) l’Ingegnere. Nonostante mi sia laureata con 107 avevo l’autostima sotto ai piedi. Non ero particolarmente tagliata per il Calcolo o per la Progettazione classica e ne pagai lo scotto. Cercai quindi di restare nell’ambito delle tecnologie relative ai processi di lavorazione dei metalli e/o ruoli di laboratorio coerenti con le attività di Tesi sperimentali che avevo svolto nel Laboratorio di Scienza dei Metalli col Proff.ri De Sanctis e Valentini.
Dopo un primo impiego industriale in ambito Galvanico, dove ebbi effettivamente l’opportunità di lavorare su componenti aeronautici e spaziali, tornai in Università indecisa sul da farsi.
Se da una parte l’ambito Accademico mi affascinava per la possibilità di continuare gli studi relativi alla mia specializzazione e di essere coinvolta in casi di Failure Analysis, dall’altra volevo mettere a terra certe competenze e non procrastinare il confronto con il mondo reale. Ho avuto la fortuna di trovare un buon compromesso tra i due mondi lavorando per la Spin-off del Prof. Valentini finché non partii per l’Inghilterra dove ho lavorato per 4 anni.
Costretta a rientrare in Italia per problemi che esulano dal mondo del lavorativo, dopo un primo periodo in cui continuai a portare avanti la carriera intrapresa in UK, decisi di passare dall’attività consulenziale per conto terzi ad un’Azienda manifatturiera.
Risposi ad una vacancy di Agrati Group trovata su Linkedin per un ruolo tra le cui attività era menzionata la Failure Analysis e, dopo tre anni, eccomi qua.

Come è riuscita a diventare Manager all’Estero prima dei 30 anni?

Merito di fortunate coincidenze e voglia di mettersi in gioco per trovare non solo un ruolo coerente a quanto mi appassionava maggiormente ma anche un inquadramento meno precario.
A molte di noi, nel privato, per i primi impieghi venivano offerti contratti a tempo determinato, a progetto, mentre ai nostri compagni di corso spesso erano già proposti contratti a tempo indeterminato. Un caso?
Inoltre, in Italia, la Failure Analysis era spesso ancora oggetto di consulenza accademica. Non volendo aspettare di maturare 20 anni di esperienza universitaria per venire presa sul serio in questo ambito, partii Oltremanica dove avevo sentito dire ci fosse fame di Ingegneri, anche neolaureati.
Arrivata a Londra, nel giro di due mesi venni assunta con un contratto a tempo indeterminato. Pur di iniziare, avevo applicato per una posizione da tecnico di laboratorio in un paesino in Scozia. Il mio futuro Manager, Mr John Wallace, professionista del settore con all’attivo decine di laboratori a livello internazionale, realizzando che fossi troppo qualificata per quell’impiego, e quanto fossi determinata, me ne propose invece un altro a Manchester per supportarlo nello sviluppare un laboratorio, e relativo team, dedicato alla Failure Analysis di componenti metallici: il mio sogno.
I risultati non tardarono ad arrivare e, nel giro di un anno, venni promossa e affiancata da un ragazzo Greco, allora studente di Ingegneria, a cui insegnai a mia volta la Failure Analysis e che oggi dirige il suo laboratorio. Vado molto fiera di lui e di quanto abbiamo realizzato insieme. Abbiamo avuto entrambi un gran maestro, che, oltre alle nozioni tecniche, ci ha insegnato il mestiere a tutto tondo, dalla preventivazione alla fatturazione, passando dalla gestione dei clienti a quella del personale. Siamo stati molto fortunati. Il suo mantra era: “lavori con me, non per me.” Da allora ho sempre fatto del mio meglio per applicare il suo approccio a qualsiasi realtà lavorativa in cui sia stata coinvolta.

Di cosa si occupa adesso?

Di Metallurgia. Offro supporto tecnico a colleghi e clienti, italiani ed esteri nello sviluppo di nuove soluzioni per fastener (e non solo) realizzati in materiali metallici, Trattamenti Termici e Material Selection.
Qualora si renda necessario sono ancora coinvolta in casi di Failure Analysis ma, diversamente da quello che io stessa pensavo anni fa, esiste qualcosa di ancor più stimolante. In Agrati costruiamo qualcosa, a centinaia di tonnellate, ogni giorno. E lo facciamo trasformando il metallo. Finalmente quella curiosità che avevo quando mi iscrissi a Ingegneria ha trovato il suo sbocco concreto e la sua realizzazione pratica.
Inoltre, sono fiera di poter coltivare la passione di famiglia per l’insegnamento essendo docente dell’Agrati University. Far parte della nostra Academy interna (che quest’anno ha compiuto 15 anni) è sicuramente uno degli aspetti che preferisco del mio ruolo in Azienda. Poter trasmettere quello che ho imparato strada facendo è qualcosa a cui tengo molto soprattutto a fronte dei tradizionali problemi italiani di trasmissione know-how da una generazione all’altra.
Più recentemente, ho iniziato a partecipare ai comitati internazionali di standardizzazione per la materia prima dalla quale realizziamo la maggioranza dei nostri fasteners, grazie ai preziosi insegnamenti e al supporto del ns Ing. Ripamonti, referente Agrati per la standardizzazione a livello internazionale: un altro gran maestro.

Ha qualche progetto per il futuro?

Tecnicamente, la mia aspirazione è fare del mio meglio per portare avanti la notevole tradizione metallurgica della ns Azienda, con una prospettiva sempre più sostenibile.
Grazie anche a un percorso personalizzato di mentoring, lo scorso anno mi è stata offerta un’altra splendida opportunità per ritagliarmi un ruolo ancor più aderente al ruolo di Metallurgista, così da poter concentrare maggiormente le mie energie nell’ambito che preferisco.

E non tecnicamente?

Contribuire a rendere più sostenibile non solo la Metallurgia ma anche la cultura del lavoro. Sono uno dei Sustainability Ambassador di Agrati e ho molto a cuore la ns Mission. Questa stessa intervista è un’ottima occasione di veicolare certi messaggi.

Il primo su tutti è che c’è speranza: il mondo del lavoro sta cambiando, non è quello di quando iniziai, per fortuna. Ciò nonostante, soprattutto per noi donne, questo cambiamento richiede ancora tempo, pazienza, tenacia, ispirazione e impegno collettivo verso goal comuni.

Nel suo percorso di studi o nella sua carriera, ha incontrato difficoltà in quanto donna?

Durante gli studi, all’Università di Pisa, sono sempre stata trattata col medesimo rispetto riservato ai miei compagni. Eravamo pochissime ragazze, sotto al 10% del totale matricole, comunque di più che a Ing. Meccanica o Elettronica.
Affacciatami alla professione, nei primi anni, è capitato invece che le cose andassero diversamente. Ci tengo a precisare che quanto segue non riguarda i miei datori di lavoro, per cui non posso che nutrire gratitudine per avermi accolto e fornito l’opportunità di fare la famosa “gavetta”. D’altro canto, non di rado, la combinazione di essere donna e giovane non giocava in mio favore a livello di considerazione e rispetto che ricevevo da controparti esterne. Ho risolto quasi del tutto il problema trasferendomi poi all’Estero dove queste due caratteristiche non erano considerate uno svantaggio.
Lavorativamente, una volta assunta, non ritengo di essere stata ostacolata nella crescita, formazione o avanzamento di carriera in quanto donna. Il bello dell’ambito STEM, da tenere sempre a mente, è che più che in altri campi, performance e risultati si misurano in numeri e quelli, come la matematica, non sono un’opinione. Ciò nonostante, quando ho raggiunto certi traguardi, c’è stato comunque chi (uomini, con maggior seniority), per invidia immagino, mi ha detto che tali risultati erano stati merito dei miei attributi fisici e non del mio impegno e determinazione. Di fronte a certe testimonianze, come quelle (finalmente) arrivate ormai anche sui giornali, c’è quasi da sentirmi privilegiata.

Secondo lei, nel nostro Paese esistono ancora barriere che impediscono alle ragazze di avvicinarsi agli studi STEM?

La principale barriera rimasta è quella culturale.
Quante volte al collega uomo viene automaticamente attribuito il titolo di “Ingegnere” anche se non ha mai messo piede in facoltà mentre a noi, se va bene, viene riservato il ben più vago “Dottoressa”. Chissà se è perché finisce con la “a”?
Altrimenti veniamo chiamate per nome di battesimo a fronte di diverso trattamento per i colleghi uomini. Si scade poi nel “cara” o, peggio ancora, “tesoro”. Non è un problema di etichette e prestigio sociale, anzi, sono l’ultima che giudica le persone in base all’eventuale titolo di studio. Il problema è che questi automatismi retrogradi sono la strisciante antifona di altre situazioni in cui appunto è tangibile l’assenza di rispetto paritario, le stesse premesse che danno il La a far affiorare il malcelato pregiudizio.

Cosa si potrebbe fare per migliorare le cose?

Rapportandola a quella inglese, la società italiana ha ancora molto da imparare in merito di educazione alla Diversità e Gender Equality. È un processo culturale e formativo su cui siamo ancora davvero dei principianti. Le istituzioni dovrebbero farsi carico di veicolare e garantire questo miglioramento, assicurandosi che media e ambienti pubblici fossero i primi a dare il buon esempio ed assicurarsi il rispetto e l’applicazione di certe regole e policies.
Basta dare un colpo d’occhio a quello che dovrebbe essere giornalismo tricolore per constatare a malincuore come si prediliga “postare” (non scrivere) trappole di clickbait tipicamente includenti scandali hot piuttosto che contenuti o esempi di valore. L’opinione pubblica si accanisce però sui giovani “tik-tok dipendenti”. Cosa possiamo aspettarci se vengono bombardati da messaggi diseducativi, opera delle generazioni precedenti?

E cosa sarebbe d’aiuto alle giovani donne per poter fare carriera nelle professioni STEM?

Di recente leggo sempre più articoli e segnalazioni relative alla mancanza di concreto supporto alle famiglie e alle madri lavoratrici che, come delle equilibriste, tentano comunque di portare avanti professione diurna e professione di cura. A casa nostra, il lavoro di mio padre ci ha garantito una divisione paritaria degli impegni familiari ma purtroppo mi rendo conto che è stato un caso eccezionale, cioè un’eccezione. Finalmente se ne parla.
Cosa fare? Garantire tutele che spesso ancora mancano, rendere più trasparenti i diritti che spesso non lo sono, ovviamente non soltanto per le lavoratrici in ambito STEM.
Gli asili aziendali sono ancora utopia, gli altri sono pochi e/o costosi. In famiglia abbiamo avuto una situazione in cui la madre lavorava per pagare l’asilo dove lasciare la figlia mentre lei lavorava: paradossale. Madri che rinunciano all’impiego per stare a casa coi figli dopo anni di studio e gavetta, padri che consumano le ferie per far fronte all’assenza di strutture di supporto nel periodo di chiusura di asili e scuole.
L’opinione pubblica si straccia le vesti per il calo delle nascite e poi ancora ci si aspetta che le famiglie facciano fronte a tutto questo da sole.

C’è qualche consiglio che può dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada ma hanno ancora incertezze e timori?

“Le cose per cui farete più fatica nella vita sono quelle che ne valgono davvero la pena”. Così ci diede il benvenuto il Prof. D’Agostino al suo corso di Termofluidodinamica. Aveva ragione. Non sostengo la retorica del sacrificio a tutti i costi ma è vero che ci sono momenti in cui c’è da tener duro, non mollare e restar fedeli alle proprie aspirazioni anche quando la strada è molto in salita.
Partire da sola, con due valige, per realizzare un sogno non è stato banale ma, se non lo avessi fatto, oggi, con ogni probabilità, vivrei di rimpianti. Adesso invece posso affrontare ogni lunedì mattina col sorriso.
E se, come me, a un certo punto temete di aver scelto la facoltà sbagliata: non preoccupatevi, succede. Seguite le vostre personali preferenze, vi aiuteranno a trovare la strada anche quando vi sentirete disorientate. Se non siete certe di quali siano tali preferenze, continuate a mettervi alla prova e le troverete.
Non accontentatevi di scegliere progetti, tirocini e/o tesi che vi vengono proposte ma che non vi convincono. Cercate prima di capire se ci sono altre chances che fanno più al caso vostro e che un domani potrebbero traghettarvi in una precisa direzione.
Credo che oggi giorno ci siano molte più opportunità presso spin-off o start-up ancora ben connesse all’ambito Universitario e il consiglio che posso offrire, a chi non ha ancora le idee chiare, è: approfittate di queste soluzioni ambivalenti per farvi le ossa, sperimentare e così facendo affacciarsi al lavoro con meno scossoni.
Parlate con chi ci è già passato/a, informatevi, non fatevi scoraggiare da chi, per mille e più motivi, vi dirà che: “tanto le cose non miglioreranno mai”. Preferite i buoni maestri e le buone maestre a scorciatoie e disfattisti.
Siete voi le prime responsabili della vostra felicità e di tale miglioramento, per voi stesse e per chi vi circonda.
Ad astra, per aspera.