Federica Peci

Giornalista, Psicologa Neuroscienziata, Ricercatrice e Co-Fondatrice di Cerebro Srl, startup che si occupa di sviluppare e produrre strumenti elettromedicali ad alto impatto innovativo.

Premio ITWIIN 2020: “Menzione Implementazione team multidisciplinare”
Per l’importanza del suo contributo in un team multidisciplinare volto al miglioramento della qualità di vita nei pazienti che necessitano di riabilitazione neuromotoria e cognitive.

Ci può raccontare in poche parole qual è stato il suo percorso di studi e di cosa si occupa?

Premetto che la mia vita è sempre stata caratterizzata da importanti bivi con altrettante importanti scelte; da figlia di padre medico era inevitabile scegliere un percorso di studi scientifico e, pur non avendo scelto Medicina, ho scelto ciò che più mi affasciava ovvero capire come funziona il nostro cervello sia in condizioni di patologia sia di normalità grazie alle Neuroscienze Cognitive e Cliniche. Quando scelsi questa facoltà ancora non si parlava di Neuroscienze, pochi sapevano che cos’erano mentre oggi troviamo questa parola sulla bocca di tutti. Le Neuroscienze mi hanno permesso di conciliare il mio amore per la ricerca e la mia grande passione per la clinica e per i pazienti. Nel frattempo, sono diventata Giornalista Pubblicista, ho conseguito Master e Corsi di Perfezionamento. Dall’anno scorso, la mattina ricopro un ruolo manageriale all’interno di Cerebro Srl che si occupa di sviluppare e progettare tecnologie riabilitative che siano alla portata di tutti ma soprattutto innovative, al pomeriggio svolgo la mia attività clinica professionale.

Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? Cosa l’ha portata poi a scegliere un corso di studi STEM? Ci racconti se la scuola le ha fornito un orientamento, la sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta.

Quando ero piccola sognavo di fare la veterinaria, già precocemente orientata alla formazione scientifica. Poi, crescendo, ho seguito un percorso linguistico al liceo e sono approdata alle Neuroscienze proprio per quella passione che è nata da zero relativa al cervello e al suo ruolo cruciale nel gestire la nostra quotidianità. All’uscita dalla scuola media, nelle fasi di orientamento per gli anni successivi, mi era stato caldamente consigliato di iscrivermi ad un istituto professionale perché non sarei stata in grado di farcela in un Liceo vero e proprio. Ho deciso, anche con il supporto della mia famiglia, che non avrei dato ascolto a questo suggerimento e che non mi sarei lasciata scoraggiare: così ho concluso ottimamente il Liceo Linguistico (parlo fluentemente tre lingue, soprattutto il tedesco, avendo frequentato la Scuola tedesca di Milano) e mi sono iscritta in Università, in barba ai miei insegnanti delle medie.
I miei genitori si sono sempre occupati di salute, anche in un’ottica sociale, e sono cresciuta in mezzo ai malati, senza mai sentire la rassegnazione alla malattia, convincendomi che non ci si deve mai accontentare della risposta più semplice e condivisa, ma che, studiando, si possono sempre scoprire nessi causali ancora inesplorati.
Posso sicuramente affermare che il sostegno che ho avuto e che ricevo tutt’oggi dalla mia famiglia è imprescindibile.

Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche, diventare imprenditrici? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà?

Per quel poco che posso dire in base alla mia ancora breve esperienza lavorativa, avendo solo 28 anni, è che spesso la più grande discriminazione arriva da coloro che non hanno le capacità di ricoprire il ruolo che gli è stato assegnato; l’unico modo allora per dimostrare agli altri di essere capaci è la prevaricazione e il rivendicare una gestione organigrammica sbilanciata. Non ricordo episodi di discriminazione di genere ma sicuramente è presente una grande discriminazione a livello delle qualifiche e delle differenze negli anni di studio universitario; soprattutto all’inizio, percepivo un costante giudizio da parte degli altri per il fatto di non essere medico ma semplicemente Psicologa; eppure la mia conoscenza e la mia esperienza, non soltanto a livello formativo ma soprattutto umano, non vengono mai messi in discussione.

A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per aiutare le giovani donne ad intraprendere studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

Secondo me, le giovani donne hanno la possibilità di fare ciò che vogliono; nel 2020 con tutte le disparità ancora presenti nel mondo lavorativo, credo nella capacità delle donne di poter fare qualsiasi cosa e soprattutto credo che, se c’è la competenza e la passione per quello che si fa, nulla può ostacolare il volere femminile. Detto ciò, non credo che ci sia necessità di azione durante la formazione STEM, ma piuttosto di garantire che la formazione ottenuta venga valorizzata e equiparata a qualsiasi altra formazione ottenuta da qualsiasi altra persona.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Non fermatevi; non fatevi dire dagli altri che cosa dovete diventare “da grandi”; l’intraprendenza, la capacità di ragionamento critico ma soprattutto il saper pensare fuori dalla righe, premia sempre in ogni contesto lavorativo; la competenza tecnica, d’altro canto, non deve mai surclassare la competenza emotiva ed empatica per sapersi confrontare in maniera costruttiva con gli altri, senza denigrare gli agiti altrui. Essere donne manager è sicuramente impegnativo, ma chi meglio di noi può riuscire a farlo in maniera eccellente?