Giulia Fredi

Ingegnere e ricercatrice all’Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Ingegneria Industriale. Tra le sei vincitrici dell’edizione italiana del Premio L’Orèal-UNESCO For Women In Science

Ingegnere, ricercatrice, recentemente ha vinto il Premio L’Orèal-UNESCO con il progetto “Poliesteri furanoati”, polimeri bioderivati che rivoluzioneranno il mondo del packaging e del tessile. Ci può raccontare in poche parole in cosa consiste il suo lavoro?

Durante il dottorato mi sono specializzata in una classe particolare di materiali: i materiali polimerici, ovvero le materie plastiche. Oggigiorno sono tanto denigrate per il loro impatto ambientale, ma è importante rendersi conto che le plastiche hanno contribuito notevolmente allo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni. Sono dei materiali incredibilmente utili, perché sono leggeri, resistenti e versatili. Basti pensare che sono a base di plastica i paraurti delle automobili e le sacche biomedicali per il sangue, ma anche gran parte dei componenti di un computer o di un telefono, e perfino le pale eoliche! Purtroppo, però, l’uso improprio e il cattivo smaltimento di alcuni oggetti in plastica, specialmente gli imballaggi monouso, stanno causando gravi danni a livello ambientale. Una delle plastiche più utilizzate e familiari è il PET, ampiamente usato per produrre bottiglie di plastica ma anche fibre tessili per l’abbigliamento. Inoltre, la maggior parte delle materie plastiche, tra cui il PET, è prodotta a partire dal petrolio, mentre sarebbe bello produrle da fonti rinnovabili. L’alternativa più promettente al PET, e agli altri polimeri della stessa famiglia, è rappresentata dai poliesteri furanoati, che sono polimeri derivati da fonti naturali, ad esempio dalla fermentazione e disidratazione di biomasse. Un polimero di questa classe è il polietilene furanoato, o PEF, che si pone come diretto sostituto del PET e ha migliori proprietà di barriera all’ossigeno e all’anidride carbonica, quindi se lo si usa per fabbricare bottiglie o imballaggi per alimenti basta una pellicola più sottile per conservare cibi e bevande per lo stesso periodo. Questi poliesteri furanoati non sono ancora stati commercializzati perché non se ne conoscono bene le proprietà fisiche e meccaniche, e qui entra in gioco la mia ricerca, che si propone di studiare in modo più approfondito le proprietà di questi polimeri, e di cercare di migliorarle ulteriormente tramite l’aggiunta di nanocariche (come la nanocellulosa o il grafene) o tramite la miscelazione con altri polimeri.

Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? E’ sempre stata portata per le materie STEM? Cosa l’ha portata a scegliere ingegneria? La scuola le ha fornito un orientamento? La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

Per tutto il mio percorso scolastico mi è sempre piaciuto imparare per il gusto di farlo, e questo valeva soprattutto nelle materie scientifiche, ma anche nelle lingue e nella musica: ho studiato chitarra classica per dieci anni e ho anche dato qualche esame in conservatorio. Soprattutto ero affascinata dai problemi difficili che pian piano diventavano facili e risolvibili sotto i miei occhi. Alle superiori (ho fatto il liceo scientifico) mi piaceva molto anche il latino, che il mio professore diceva essere l'unica materia del liceo che ti fa usare la logica e il metodo scientifico, perché per tradurre una versione di latino, si deve smontare una frase in piccoli pezzettini e capire il significato di ognuno di essi di per sé e rispetto agli altri, e poi la frase va rimontata per controllare se funziona, e poi collegata alle altre frasi per vedere il quadro generale. Non è molto diverso da quello che fa un meccanico con un motore, o un ricercatore con problemi complessi.
Nella mia infanzia e adolescenza sono passata dal voler diventare interprete e traduttrice di libri a chitarrista e concertista. Però, alla fine, quando ho dovuto scegliere il percorso universitario, il mio interesse per le materie scientifiche e la comprensione della loro potenzialità nel mondo del lavoro mi hanno portato a scegliere un corso di laurea, l’ingegneria dei materiali, che le proponesse in modo trasversale – non a compartimenti stagni - e applicativo – mirato a risolvere problemi industriali concreti.
La scuola non mi ha fornito un vero orientamento a una carriera scientifica, ma in generale sono sempre stata spronata ad andare avanti con gli studi e a scegliere di volta in volta quello che mi sembrava più adatto a me. Anche i miei genitori non mi hanno mai fatto pressioni. Penso che fossero contenti quando ho scelto ingegneria, ma credo che si fidassero di me abbastanza per lasciarmi scegliere quello che più mi interessava. In famiglia sono sempre stata incoraggiata seguire la mia strada: ricevevo supporto per qualsiasi attività sportiva, musicale, ricreativa, scolastica, scientifica mi andava di fare, e questo ha senz’altro contributo alla crescita della mia curiosità e ha messo le basi per la mia passione per la ricerca.

Secondo lei, ci sono ancora discriminazioni nei confronti delle donne nelle carriere scientifiche? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà? Ricorda un episodio?

Quando stavo pensando di iscrivermi a ingegneria sapevo che avrei incontrato più ragazzi che ragazze, ma non pensavo che la disparità fosse così forte: al primo anno le ragazze erano circa un decimo dei ragazzi. Mi sono chiesta molte volte come mai le ragazze non si iscrivano a certi corsi di laurea ma ne prediligano altri. Forse parte del motivo risiede nel fatto che già a sei anni le bambine in media pensano di essere meno brave in matematica dei loro compagni maschi, e che parole come “genio” siano più attribuibile a un uomo che a una donna. E come mai? Perché ci sono molti più scienziati famosi uomini, quindi i bambini conoscono quelli: quindi “Einstein” è sinonimo di genio ma nessuno sa chi è Ada Lovelace, per esempio. E il motivo di questo, a mio parere, è da ricercare nel fatto che storicamente agli uomini era permesso di accedere ai più alti livelli di istruzione mentre si pensava che “la scienza non fosse cosa da donne”.
La nostra società è ancora permeata da forti stereotipi di genere attorno al rapporto tra donne e scienza, ma non solo: in generale lo stereotipo, a mio avviso, è sulla relazione tra donne e professioni di intelletto, o tra donne ed eccellenza. La cucina è tradizionalmente “cosa da donne”, ma tra i più famosi chef ci sono pochissime donne. La musica è “cosa da donne”, ma i più grandi direttori d’orchestra sono per la stragrande maggioranza uomini.
Gli stereotipi attorno al rapporto tra donne e scienza sono ancora molto forti nella nostra società, e questo influenza soprattutto le bambine e le ragazze che non si sentono adatte a svolgere professioni come la ricercatrice o la scienziata, perdendo quindi interesse per le materie scientifiche già in tenera età e alimentando un circolo vizioso di stereotipi da cui è difficile uscire.
Nel mio percorso universitario non credo di essere mai stata discriminata in quanto donna, per fortuna. Però mi rendo conto che le mie capacità non sono mai state date per scontate, ho sempre dovuto, e devo tuttora, ogni giorno, dimostrare quello che so fare.

L’Italia sta facendo abbastanza per orientare le giovani donne agli studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

Credo che la situazione oggi stia migliorando e ci sia più attenzione alle questioni di genere nelle materie STEM.
Penso che sia fondamentale promuovere tutta una serie di iniziative che stimolino la curiosità delle bambine e delle ragazze per le materie scientifiche non solo quando si tratta di scegliere l’università (lì ormai probabilmente è tardi), ma soprattutto durante i percorsi scolastici alle elementari e alle medie. Si potrebbero, per esempio, introdurre alle medie corsi di programmazione o di data science aperti soprattutto a ragazze.
Inoltre, penso che sia importante che la bambine vedano e conoscano donne che hanno avuto successo nella ricerca o nell’industria, che le sentano parlare e che le riconoscano come role models.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Il mio consiglio è questo: se vi piace, armatevi di tanta determinazione e impegno, e provateci. Quando vi troverete a scegliere il vostro percorso universitario, se pensate che ingegneria aerospaziale, o fisica, o informatica, sia il corso che meglio riflette i vostri interessi e le vostre ambizioni, iscrivetevi lì. Non abbiate paura di essere l'unica donna o tra la poche donne in un corso in prevalenza maschile. E soprattutto, quando incontrerete delle difficoltà (non se, ma quando, perché ce ne saranno sicuramente), non pensate mai di non essere all'altezza in quanto donne, o che quello non sia il corso di laurea più adatto a voi in quanto donne, perché pensare questo vuol dire andare amanti col freno a mano tirato.
Ho un altro consiglio: cercate delle donne che "ce l'hanno fatta" nell'ambito in cui vorreste eccellere voi, e chiedete loro come hanno fatto: chiedete aiuto, consigli, informazioni. L'epoca in cui le donne vedono le altre donne come una minaccia sta piano piano finendo, per fortuna, e stanno fiorendo community (soprattutto online) di donne che vogliono sostenersi a vicenda per farsi strada nel mondo del lavoro.