Laura Gillio Meina

Country Leader Italy and Interventional Cardiology and Structural Heart Business Unit Director, Southern Europe - Boston Scientific

Laura, oggi ha raggiunto la posizione di Country Leader Italy and Interventional Cardiology and Structural Business Unit Director, in Boston Scientific, ci può raccontare in poche parole in cosa consiste il suo lavoro?

L’azienda per cui lavoro è impegnata a far progredire la scienza per la vita offrendo un'ampia gamma di soluzioni grazie alle quali ogni anno curiamo più di 30 milioni di pazienti nel mondo.
Il mio lavoro è quello di aiutare i medici a curare al meglio i pazienti. Per questo mettiamo a loro disposizione sia prodotti innovativi che ogni giorno aiutano a salvare o a migliorare la qualità di vita dei pazienti sia un team in grado di supportarli nel loro lavoro.
Mi piace pensare che il mio lavoro aiuti le persone, mi fa sentire utile e questo al di là di tutto è bello.

Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? E’ sempre stata portata per le materie STEM?

Quando ero piccola sognavo di fare il neuro-chirurgo perché volevo scoprire cosa ci fosse nella testa delle persone. Crescendo ho fatto il Liceo Scientifico e poi ho scelto di proseguire i miei studi presso il Politecnico di Milano. Le materie scientifiche son sempre state nelle mie corde.

Si è laureata in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Milano, e ha una Specializzazione in Bio-Ingegneria. Cosa l’ha portata a scegliere questo corso di studi? La scuola le ha fornito un orientamento? La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

Avrei voluto fare medicina e poi neuro-chirurgia ma la mia mamma mi ha dimostrato che in Italia non c’erano praticamente donne chirurghe, mentre io volevo avere accesso alla sala operatoria. Ho deciso quindi di cambiare strada pur senza rinunciare del tutto al mondo medico e alla sfida di una materia – soprattutto all’epoca – considerata prevalentemente maschile. Di qui la laurea in Ingegneria Elettronica che ho conseguito dando tutti gli esami possibili di Bioingegneria. La mia famiglia è stata un aiuto enorme, perché mi ha lasciato la libertà di scegliere e mi ha sempre supportato nel mio percorso.

Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà? Ricorda un episodio?

Sicuramente ci sono delle barriere e molto deriva da un fattore culturale. È un trend che non si cambia velocemente, ci vogliono anni e tanto comunque è già cambiato. Quando io ho fatto ingegneria le ragazze erano meno del 10%; oggi il numero è aumentato moltissimo e questo crea un nuovo punto di partenza. Ovviamente anche il mondo del lavoro deve continuare a evolvere per fornire pari opportunità. È un lungo viaggio che va intrapreso a più livelli. Una piccola storia dal mio passato. Il primo giorno del mio primo lavoro, l’HR manager, un uomo ovviamente, mi ha detto che entravo a far parte di un’azienda moderna e sapete perché? Perché assumevano anche donne! Molta strada è già stata fatta, ma davvero ancora molto resta da fare per una reale parità di genere.
Un altro aspetto delicato è quello relativo alla famiglia. Io sono madre di due ragazze e ho dovuto reimpostare tutta la mia vita professionale e privata in modo da non rinunciare a nulla. Ovviamente non ci son sempre riuscita e la mia carriera ha subito dei rallentamenti. Ma la difficoltà maggiore a volte è proprio quella di non sentirsi sempre inadeguate o nel posto sbagliato. Comunque, è stato un bel percorso che mi ha insegnato molto: tutto serve e ci aiuta a diventare leader e persone migliori e solide.

A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per orientare le giovani donne agli studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

La risposta purtroppo è no. Bisognerebbe partire dalla scuola, dal linguaggio al femminile, dall’avere sempre più role models ai quali ispirarsi e via via sino ad arrivare a programmi solidi e strutturati che, al di là delle parole, pongano le basi per una equità di genere. Oggi per dare il via a un cambiamento servono ancora processi, regole, quote e anche se queste cose ora ci disturbano, ritengo che siano necessarie per costruire un futuro in cui tutto questo diventerà naturale. Ormai infatti è dimostrato da molteplici studi che il talento non può esprimersi appieno senza diversità.
La politica, le aziende e ciascuno di noi nel proprio ambito di competenza dobbiamo mettere in campo azioni concrete. Ad esempio, l’azienda dove lavoro oggi ha implementato misure d’impatto come il congedo parentale di 18 settimane per i neogenitori, lo smart-working e l’obbligo per le posizioni manageriali di avere almeno metà dei candidati donne. Tutte queste azioni ci aiutano a cambiare il nostro modo di pensare e di agire.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Di seguire la loro strada, di non lasciarsi intimidire dalle critiche e dalle difficoltà: la carriera è un lungo viaggio e c’è tempo per fare tutto: crescere, sbagliare e rialzarsi senza mai aver paura di rimettersi in gioco e di ricominciare da zero. La curiosità unita alla tenacia portano lontano.