Lucia Votano, Dirigente di Ricerca associata all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), si occupa di fisica astro-particellare e in particolare di neutrini. E’ stata dal 2009 al 2012 Direttrice del Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso dell’INFN, il più grande al mondo, dove lavorano quasi mille scienziati provenienti da trenta diversi Paesi.
Ha lavorato al CERN di Ginevra, al laboratorio DESY ad Amburgo, e infine al Laboratorio del Gran Sasso, in particolare ad OPERA: un esperimento che, utilizzando il fascio di neutrini muonici prodotti al CERN e indirizzati sotto la crosta terrestre verso l’Abruzzo, ha fornito per la prima volta al mondo in modo diretto la prova della loro “metamorfosi” in neutrini tau. Al momento fa parte dell’esperimento JUNO, l’ultima frontiera nella fisica del neutrino, un enorme apparato in fase di costruzione nella Cina Meridionale che sarà operativo nel 2021.
Ha fatto parte, in rappresentanza dell’Italia, dello Strategy Group del CERN e dello Scientific Advisory Committee per il coordinamento europeo della fisica astro particellare.
Ha ricevuto numerosi premi e nel 2010 è stata insignita dal Presidente della Repubblica dell’onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica Italiana per meriti scientifici.
Ha pubblicato recentemente due libri divulgativi: “Il fantasma dell’universo-Che cos’è il neutrino”, Carocci editore 2015 e “La via della seta. La fisica da Enrico Fermi alla Cina”, Di Renzo editore 2017.
Link all’articolo “Lucia Votano, l’italiana a caccia di materia oscura”
Come sono stati i suoi inizi? Qual è stato il suo percorso di studi?
Sono nata a Villa San Giovanni, una cittadina calabrese sullo stretto di Messina, alla fine degli anni ’40 quando iniziava la ricostruzione del nostro Paese uscito da poco dalla seconda guerra mondiale. La mia famiglia era relativamente agiata, per le condizioni medie della popolazione locale. Mio padre, radiologo, esercitava in quegli anni anche la professione di medico generico e capitava spesso che si trovasse a curare persone indigenti del tutto gratuitamente.
Ho trascorso un’infanzia serena, sono stata educata al rispetto della scuola e dei valori della cultura, all’amore verso la lettura, senza che l’essere donna incidesse nell’atteggiamento dei miei genitori verso me e mia sorella maggiore. Sentivo spesso mia madre, bolognese, rimpiangere che i suoi genitori non le avessero fatto proseguire oltre i quattordici anni gli studi, perché ritenuti non necessari per una donna, nonostante fosse stata molto brava, soprattutto in matematica e francese.
Ho iniziato il mio percorso di studi superiori al Liceo Classico Tommaso Campanella di Reggio Calabria per poi laurearmi nel febbraio 1971 all’Università la Sapienza di Roma, dove Edoardo Amaldi mi proclamò dottore in fisica col massimo dei voti e lode.
Per la mia generazione lo spirito della ricostruzione aveva generato una fiducia assoluta in un futuro migliore fondato sulla cultura e sull’impegno personale: siamo cresciuti nella sicurezza che bastasse studiare con serietà per raggiungere i traguardi professionali voluti.
Ripensando a questo mezzo secolo, credo di essere fortunata ad aver vissuto la giovinezza negli anni sessanta, un decennio caratterizzato dal più grande rinnovamento culturale, generazionale e dei costumi della nostra più recente storia, in cui l'attuale modernità ha preso forma. Anni complessi da analizzare, contraddittori, che hanno comunque rappresentato una svolta per la condizione femminile. Basti pensare che la legge 66 che permette alle donne di accedere alle cariche di tutti gli uffici pubblici e a tutte le professioni entra in vigore nel 1963 e solo alla fine del decennio si approva il nuovo diritto di famiglia che sancisce la perfetta parità tra i coniugi.
Poco trapelava o si discuteva al Liceo Campanella dei fermenti che sobbollivano in Europa e negli Stati Uniti in preparazione del sessantotto, eppure ricordo che i miei pensieri già cominciavano a essere innovativi rispetto alla mentalità tradizionalista di una cittadina del Sud.
Che cosa ha spinto una giovane ragazza a decidere fermamente di iscriversi alla facoltà di Fisica a Roma? Com’è arrivata poi a dirigere i Laboratori Nazionali del Gran Sasso?
Credo di aver sentito l’influenza di mio padre, medico radiologo, che passava molte sere a informarsi sulle novità scientifiche riguardanti la medicina e che mi spiegò con grande trasporto l’importanza della scoperta del DNA. La sua sotterranea passione verso la ricerca scientifica ha trovato in me un fertile terreno e l’interesse verso la Fisica ha fatto il resto.
Voltandomi indietro a osservare la mia lunga carriera di ricercatrice posso affermare di aver beneficiato e al contempo di aver contribuito con il mio vissuto personale al progressivo riconoscimento nella società italiana del diritto della donna ad affermarsi pienamente anche professionalmente.
Devo anche riconoscere che senza la condivisione di valori e il costante supporto di mio marito, non avrei potuto dedicare tanto tempo alla ricerca scientifica mettendo sullo stesso piano il lavoro e la famiglia.
La mia generazione ha dimostrato in modo non più solo episodico che si può essere ricercatrici senza necessariamente rinunciare a esprimere pienamente la propria affettività anche nella maternità. Certo molti problemi rimangono ancora oggi e di non facile soluzione.
Ho iniziato la mia attività di ricerca al Laboratorio di Frascati, ho in seguito lavorato al CERN di Ginevra, a DESY, Amburgo per poi convergere sul Laboratorio del Gran Sasso, di cui sono stata negli ultimi anni anche direttore, prima e unica donna a ricoprire tale incarico.
Il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso (LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), situato sotto la montagna abruzzese, è il più grande laboratorio sotterraneo del mondo e il più avanzato in termini d’infrastrutture tecnologiche. E’ sede di circa venti esperimenti internazionali alla frontiera della ricerca scientifica nel campo della “fisica astro-particellare”, alla congiunzione tra studio delle particelle elementari, astrofisica e cosmologia. Le attività principali riguardano lo studio dell’Universo attraverso la misura dei neutrini e delle loro proprietà intrinseche e cercando di svelare il mistero della materia oscura che circonda le galassie.
E’ un’eccellenza italiana e il suo successo è testimoniato dalla comunità di circa 1000 scienziati che vi lavorano, di cui il 60% provenienti dagli Stati Uniti, Germania, Francia, Russia, Giappone, per un totale di circa trenta differenti Paesi.
Osservare il cosmo da caverne sotterranee è un apparente paradosso, ma per i fisici studiare i neutrini provenienti dall’interno delle stelle o cercare di catturare l’invisibile materia oscura nel silenzio cosmico assicurato dalle rocce sovrastanti il laboratorio, rappresenta una finestra aperta verso una nuova visione dell’universo.
Sono arrivata a fare il direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dopo una lunga carriera, durante la quale ho assunto varie responsabilità scientifiche e gestionali, in un ambiente in cui le donne sono ancora una minoranza. In generale, non posso dire di essere stata discriminata in modo esplicito nel corso della mia carriera all’interno della comunità scientifica, anche se ogni tanto venivano allo scoperto segnali o atteggiamenti che potevano avere un carattere discriminatorio.
Ciò non vuol dire che abbia avuto la vita facile o che non abbia assistito a sorpassi in carriera da parte di colleghi che io giudicavo non certo più meritevoli di me. E’ però difficile affermare con certezza che questo è dipeso unicamente dal fatto di essere donna.
La notizia della mia nomina a direttore suscitò all’epoca un qualche interesse mediatico e ciò può essere interpretato alla luce di due aspetti diversi: uno positivo, perché finalmente una donna aveva conquistato una posizione ai vertici della conduzione scientifica; uno negativo, perché se fosse stato considerato un fatto normale non avrebbe suscitato alcun clamore.
Non ho mai percepito che il mio essere donna mi stesse creando problemi nel ruolo che ricoprivo: mi sono sentita valutata positivamente o contrastata soltanto per quello che facevo; anzi, forse la mia natura mi ha fornito un aiuto nell’interazione con le persone.
Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?
Il mio messaggio alle giovani donne è: non abbiate timore di intraprendere la carriera della ricerca scientifica, perché non ci sono limitazioni “genetiche” al vostro impegno, ma solo residui di una mentalità e di un’educazione ormai superate. Ci sono ancora ritardi culturali, più subdoli che espliciti, e un insufficiente supporto alle donne e alle mamme che molto penalizzano le ricercatrici. Tuttavia, la mia generazione ha dimostrato che è possibile superare le difficoltà e conciliare l’attività di ricerca con una vita affettiva e familiare piena. La vita non sarà facile, ma il mestiere del ricercatore può essere davvero molto appagante.
Mi preoccupa invece, e molto, la scarsa frequentazione della cultura scientifica da parte dell’intero Paese. Mi spaventa la mancanza di consapevolezza vera del fatto che il declino dell’Italia – questo continuo arrancare buon ultimi dietro gli altri Paesi europei – è proprio il frutto di una continua decrescita di considerazione e di investimenti nella cultura nel senso più ampio, cultura che certamente deve essere intrisa profondamente di scienza.
Sono convinta che la comunità degli scienziati debba adoperarsi di più e meglio nella divulgazione, soprattutto per far capire a più larghe fasce di società da una parte il senso profondo e universale della metodologia scientifica, in un’epoca in cui sembrano invece prevalere le “post-verità” o le false notizie, e dall’altra l’assoluta rilevanza della conoscenza come valore in sé e come motore trainante del benessere sociale ed economico della nazione.