Luisa De Cola

Scienziata, Professoressa di Chimica all’Università Statale di Milano, ricercatrice all’Istituto Mario Negri

1. Professoressa De Cola, è da poco rientrata in Italia dopo una lunga carriera trascorsa all’estero, oggi oltre ad insegnare all’Università Statale, continua la sua attività di ricerca all’Istituto Mario Negri. Ci può raccontare brevemente i suoi studi?

Mi sono laureata nella mia città natale, Messina, in chimica e avevo già capito fin dall’anno prima, durante una borsa di studio che mi aveva consentito di passare 3 mesi negli USA, che avrei voluto fare ricerca. Non aveva importanza l’area di ricerca, la scienza non ha confini ne divisioni tematiche. Cosi ho iniziato la mia carriera di ricercatore a Bologna presso il CNR, sotto la guida del Prof. Balzani, dove ho imparato tanta fotofisica ma anche un modo di pensare, di fare ricerca e presentare i miei risultati. La luce e la sua interazione con la materia mi ha sempre affascinato e ho dedicato molti anni a sviluppare sistemi luminescenti, che emettessero luce, per creare nuovi materiali per l’illuminazione, ma anche nuovi marcatori per la diagnostica e l’imaging in vivo. Dopo essermi trasferita per chiamata diretta da ordinario prima in Olanda e poi in Germania ho deciso di dedicarmi a nanomateriali, o meglio nanocontenitori che possano incapsulare molecole attive e rilasciarle a comando. Questi piccolissimi contenitori sono fatti di materiali simili al vetro ma possono distruggersi in presenza di uno stimolo, quale la luce, una variazione di ambiente (pH) o per la presenza di molecole particolari. Nel 2012 sono stata chiamata a Strasburgo sulla cattedra di Chimica supramolecolare e biomateriali, e nominata AXA Chair. In Francia ho collaborato molto con l’IRCAD e l’IHU, centri medici di eccellenza, su materiali che potessero essere liquidi e diventare solidi una volta iniettati. Questi sistemi chiamati idrogel sono sistemi soffici, come le caramelle gommose o il gel che si mette nei capelli che si formano mescolando due o più componenti. Le proprietà come la mancanza di tossicità e il fatto che siano fluidi nella fase iniziale, per poi ottenere un materiale solido e poroso in pochi secondi, ci consentono tramite interventi non invasivi, come ad esempio l’utilizzo dell’ endoscopio, di poter posizionare questi liquidi in ferite (ulcere o fistule), piccole fratture o in interstizi per facilitare la rimozione di un tumore. In questo materiale soffice e poroso le cellule possono crescere e proliferare consentendo di riformare il tessuto in poche settimane. In collaborazione con il Policlinico Gemelli e con il Mario Negri di Milano stiamo studiando sia i nanocontenitori per il rilascio di biomolecole, sia vari tipi di idrogel. Ovviamente non dimenticando che prima della malattia c’è la diagnosi e quindi continuiamo il nostro lavoro su nuovi sensori e molecole in grado di consentire una diagnostica ultrasensibile.

2. La sua carriera è iniziata con una laurea in Chimica. Cosa l’ha portata a scegliere questo corso di studi? Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? E’ sempre stata portata per le materie STEM?

Io ho sempre amato la scienza essendo cresciuta in una famiglia nella quale si discuteva spesso dei progressi scientifici e cominciato la scuola durante le imprese spaziali. Erano anni importanti per la tecnologia, l’arrivo del computer, la TV a colori, trapianti in medicina… e si parlava si scienza, c’era una cultura scientifica che purtroppo è andata persa. A me piaceva la fisica, avevo la foto di Albert Einstein sul comodino, e amavo gli oceani ma anche lo spazio. Tutto ciò che era ignoto e molto grande o molto piccolo mi incuriosiva e affascinava. Avevo un microscopio con il quale ho giocato pomeriggi interi. La chimica è arrivata solo all’università perché a scuola non la si studia e in pochi sanno che tutto ciò che mangiamo, tocchiamo, i vestiti che indossiamo e i sentimenti che proviamo o l’aria che respiriamo è chimica…
Un sogno nel cassetto… incontrare Sergio Mattarella.

3. Abbiamo letto in questi giorni che è stata insignita della Medaglia Giulio Natta (primo italiano a prendere il Nobel per la Chimica), riconoscimento che la Società Chimica Italiana assegna ogni tre anni agli studiosi che si sono distinti per i loro contributi. Per la prima volta viene data ad una donna. Ci sono ancora ostacoli per le donne in campo scientifico? Nel suo percorso di studi o lavorativo, ha incontrato difficoltà?

E’ stato un grande onore ricevere la notizia che avevo vinto la medaglia d’oro Natta. Per me
Giulio Natta, che come tutti sanno è l’inventore del Moplen o più genericamente della plastica, era uno scienziato moderno che ha coniugato la ricerca fondamentale con quella applicata. Il premio finalmente va ad una donna, perché ci si stupisce? Non ho una risposta, è cosi ovvio che siano gli uomini a ricevere i premi che tutte le volte che succede che una donna riesca a farsi notare fa notizia… eh si che ce ne sono donne brave nella scienza, basti guardare al premio Nobel per la chimica 2020, due donne Charpentier e Doudna. Il problema è che le donne urlano meno, lavorano tanto ma più silenziosamente, sono più rispettose del lavoro degli altri e spesso ne pagano le conseguenze, e sono in grande minoranza, soprattutto nelle materie tecnologiche. Ci sono quindi degli ostacoli oggettivi di visibilità, di riconoscimento delle qualità e purtroppo della tendenza da parte degli uomini di non ascoltare attentamente ciò che noi, donne, diciamo. C’è un retaggio culturale che ci spinge a pensare che le donne debbano fare dei lavori e gli uomini degli altri, ma ciò ovviamente non è vero e mentre si riconoscono capacità diverse e un diverso tipo di intelligenza è certamente vero che purtroppo ancora oggi in molti ambienti le donne non hanno voce in capitolo. Io mi sono scontrata molte volte con questo comportamento maschilista, ma a me piace la competizione…
Per fortuna pero’ le cose stanno cambiando e la voce delle donne sta diventando più importante o forse ci si rende conto che lavorare in un ambiente dove entrambi i sessi siano presenti è molto piu stimolante e divertente.

4. A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per orientare e supportare le giovani donne negli studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

L’Italia da questo punto di vista è un paese, rispetto al resto d’Europa, abbastanza avanti.
Le donne italiane non sono intimorite dagli studi STEM e accettano di buon grado di lavorare tante ore per raggiungere i loro obbiettivi. Il problema resta nella vita privata, dove ci si aspetta che sia la donna ad occuparsi della casa e dei figli, e per coloro che non hanno i genitori vicini, diventa molto gravoso la gestione quotidiana della famiglia. E’ quindi necessario che anche in Italia si riconosca la paternità per restare a casa con i figli, che la carriera la possa poter fare anche la moglie, che chi si sacrifichi a seguire il coniuge sia anche l’uomo. La donna ha la grande qualità di essere multitasking, di poter fare simultaneamente varie cose: stirare e fare i compiti con i figli, cucinare mentre impara le lingue, leggere una fiaba mentre pensa ad un progetto europeo… e questo è un grande vantaggio…
Quindi incoraggiamo queste giovani donne e cerchiamo di dare un supporto sociale per poter far si che anche una donna possa stare al lavoro più a lungo o possa lavorare da casa.

5. Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Fate ciò che vi piace. Buttatevi nella vostra scelta con entusiasmo e determinazione. Fate gli studi e la ricerca seriamente, cercando di contribuire alla nostra società. Siate curiose ma non dimenticate il rispetto e la gentilezza e la vostra meravigliosa femminilità.