Margherita Maiuri

Laurea al Politecnico di Milano in Ingegneria Fisica, dottorato di ricerca in Fisica, post- doctoral Research Fellow presso il Dipartimento di Chimica della Princeton University.

Vincitrice del Premio Eni Award 2015 nella sezione “Debutto nella ricerca” con tesi nel campo delle energie rinnovabili, dal titolo: “Ultrafast Energy and Electron Transfer Processes in Natural and Artificial Light Harvesting Systems”. Nel 2015 vince la prestigiosa Marie Curie Global Fellow, progetto finanziato dalla comunità europea per continuare le sue ricerche a Princeton, rientra in Europa dopo due anni.  Tra le sei vincitrici della XVI edizione italiana del Premio L’Oréal-Unesco Per le Donne e la Scienza. Il suo progetto sulla spettroscopia laser ultraveloce per una fotosintesi artificiale, presso il Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, è stato selezionato tra oltre 400 candidature.

Qual è stato il suo percorso di studi? Come è arrivata alla laurea in ingegneria fisica, al dottorato in fisica e poi anche a collaborare con la Princeton University?

La mia storia inizia a Napoli, con un diploma di liceo classico. Durante un programma di orientamento universitario sono stata incuriosita da corsi in cui si parlava di nanotecnologie e di come la tecnologia e l’innovazione potessero determinare la vita quotidiana. Mi sono informata sul corso offerto dal Politecnico di Milano in ingegneria fisica, mi è sembrato un buon punto di partenza per chiarirmi le idee su cosa mi sarebbe piaciuto studiare. Ho iniziato e concluso tutto il mio percorso universitario a Milano, dottorato in Fisica incluso. Quando nel 2014 ho concluso il dottorato ho accettato un’offerta per un postdoc in America, Princeton, l’università dove Einstein aveva lavorato. Successivamente ho applicato per una Marie Curie Fellowship che ho vinto nel 2015. Si tratta di finanziamenti europei molto prestigiosi che sostengono l’attività di giovani ricercatori all’estero, con lo scopo di reintegrarli in Europa dopo un periodo di tempo limitato.

Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? E’ sempre stata portata per le materie STEM?

Ho avuto varie fasi: da bambina volevo diventare biologa marina, poi ho avuto la fase astrofisica, al liceo pensavo di iscrivermi in filosofia o in fisica. Alla fine ho scelto ingegneria fisica, con l’idea di trovare stabilità lavorativa in seguito… poi ho deciso di fare ricerca! Ho sempre studiato tutto bene, ma in matematica e fisica ero più brava, forse così ho iniziato a capire che le materie STEM erano quelle che mi interessavano di più.

La scuola le ha fornito un orientamento in questo senso? La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

Beh, direi indirettamente si, ho avuto dei professori di materie scientifiche che mi sostenevano molto a proseguire con studi universitari scientifici, credo che questo abbia influenzato in qualche modo le mie scelte. La mia famiglia è incredibile, un enorme sostegno in quello che faccio da sempre, senza influenzarmi, e non credo sia scontato. Sono molto orgogliosi del mio percorso di studi e di quello che sto facendo, non hanno mai mostrato nessuna perplessità di fronte alle mie scelte.

Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà?


Personalmente non ho mai avuto episodi in cui io mi sia sentita discriminata, però mi rendo conto che lavorare in un ambiente sulla carta maschile come quello dell’ingegneria possa generare molti preconcetti. Mi è capitato di in vari contesti lavorativi, da conferenze a meeting in comitati scientifici, di essere l’unica donna. L’avanzamento di una donna in carriera, non solo in ambito scientifico, è molto spesso influenzato da situazioni fisiologiche stra-ordinarie nella vita di una donna che un uomo non deve affrontare. Credo che il modo migliore per affermarsi in ogni contesto lavorativo sia quello di dimostrare sul campo il proprio lavoro e il proprio valore, indipendentemente dal sesso.

A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per orientare le giovani donne a studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

Le nuove generazioni sono nate e si stanno formando in un ‘epoca di rivoluzione tecnologica continua, per cui avere stimoli e interessi verso studi STEM dovrebbe essere logico, per non dire doveroso. Dalla mia esperienza americana degli ultimi anni posso dire che esistono numerosissime attività di coinvolgimento verso pubblico non-scientifico femminile e non, volte a sensibilizzare il pubblico su argomenti STEM. In Italia posso parlare della mia Università a Milano: il Politecnico si impegna molto a sviluppare contatti con licei e scuole dove vengono raccontate esperienze di vita o simulati esperimenti. Si tratta per lo più di eventi “open day” rivolti a tutti, spesso anche solo ad un pubblico femminile. La tecnologia è alla portata di tutti oggi. Il nostro compito di ricercatori in materie STEM dovrebbe essere quello di far incuriosire a voler sapere cosa ci sia dietro. Tutti, giovani donne e giovani uomini.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Di non approfittarsi della condizione di essere una donna e non usarla come alibi per allontanarsi dallo studio di materie scientifiche sulla base di pregiudizi di genere. Sono studi oggi assolutamente indispensabili per la nostra società. Di affrontare una carriera scientifica con grande umiltà, serietà e determinazione. A chi possa avere dei dubbi o vi parla per stereotipi, rispondete con i fatti.