Monica Panigati

Professoressa Associata di Chimica Generale e Inorganica presso il Dipartimento di Chimica dell’Università̀ degli Studi di Milano

15/06/2024

Monica, si è laureata in Chimica, com’è giunta a questa scelta? E’ sempre stata portata per le materie STEM fin da piccola?

La scelta fu dettata dalla curiosità. Nonostante sul diploma di maturità ci fosse scritto “si consiglia la Facoltà di Lettere”, ero curiosa di scoprire come fosse possibile descrivere il mondo con l’alfabeto della tavola periodica invece che con quello del dizionario. Così scelsi il corso di laurea in Chimica, ignara di cosa avrei potuto imparare in cinque anni e certa che, qualunque cosa fosse, sarebbe stato affascinante. Non so se fossi portata per le materie STEM, non so nemmeno se lo sono ora. So che avevo scartato ogni laurea umanistica perché sentivo che serviva imparare anche la sintassi della materia per riuscire a comprendere la realtà nella sua complessità. E più studiavo questo il linguaggio più mi rendevo conto che fantasia e creatività, e anche una buona dose di poesia, erano fondamentali per capire le molecole, per riconoscerle e anche per progettarne di nuove. Perché per il chimico che ci lavora la materia è viva e il viaggio che si compie per conoscerla è spesso una vera e propria avventura, come quelle di antichi esploratori. Può sembrare strano ma proprio perché non è un mestiere arido, come molti pensano, forse è stata più la mia inclinazione per la letteratura, che non per le STEM a farmi amare la Chimica così tanto. Parafrasando Primo Levi che diceva sempre di essere uno scrittore perché era un chimico, io mi sento di dire che sono diventata chimica perché mi piaceva scrivere, raccontare esperienze, esplorare l’ignoto. Il confine rigido e, apparentemente invalicabile, tra le discipline per me non esisteva più, e tutt’ora non esiste.

Dopo la laurea è rimasta in Università Assegnista di Ricerca al Dipartimento di Chimica, dove oggi è Docente di Chimica Generale e Inorganica. Ci può raccontare il suo percorso lavorativo e di cosa si occupa in questo momento? Ha qualche progetto per il futuro? Un sogno nel cassetto?

Dopo la laurea ho continuato la mia formazione accademica mossa da una curiosità ancora maggiore di quella che mi aveva portato a scegliere il corso di laurea. Così decisi di proseguire con un dottorato in Scienze Chimiche che mi ha poi avviato alla carriera universitaria. Non mi sono mai allontanata da Milano e questo è un po’ il mio rammarico. Ampliare gli orizzonti, lavorare in gruppi di ricerca diversi, permette di crescere sia dal punto professionale che umano. Ma io appartengo ad una generazione in cui tutto ciò non era richiesto, lasciando questa possibilità alle disponibilità e alle inclinazioni personali. Per fortuna oggi non è più così e la mobilità è uno dei criteri principali di selezione dei giovani ricercatori e delle giovani ricercatrici. Tuttavia, ciò non mi ha impedito di entrare in collaborazione con numerosi e diversi gruppi di ricerca, anche internazionali.
E’ sempre arbitrario tagliare la propria vita a fette ma il 2005 è stato un vero e proprio spartiacque nel mio percorso lavorativo. Sono passata dall’occuparmi di argomenti di base, molto di nicchia e poco applicativi, a sviluppare in pochi anni una nuova famiglia di complessi luminescenti per applicazioni nel campo della fotonica e dell’imaging cellulare. La scoperta e lo sviluppo di questa nuova classe di molecole, dalle molteplici e talvolta eccezionali proprietà, ci ha spinto poi ad esplorare ulteriori applicazioni sia nel campo della conversione di CO2 che in quello del rilascio di CO per la cura di alcuni tipi di patologie.
Per ora si tratta ancora di studi preliminari e il lavoro nel prossimo futuro sarà dunque quello di arrivare, se possibile, alla realizzazione di dispositivi in grado di rispondere alle sfide ambientali e alla cura dei pazienti.
Nel cassetto è sempre custodito quel “si consiglia la facoltà di lettere” per cui, il mio sogno è quello di arrivare un giorno a pubblicare un’opera letteraria che sia un romanzo o una raccolta di racconti, o entrambi.

Nella sua esperienza di studio e di lavoro, le è mai capitato di imbattersi negli stereotipi che ancora ostacolo le ragazze che si avvicinano agli studi STEM o che impediscono alle giovani donne di fare carriera in queste professioni? Cosa si potrebbe fare per migliorare le cose?

Non solo mi ci sono imbattuta ma ci sono cresciuta dentro. Nella mia famiglia, e per famiglia intendo anche quella allargata ai nonni, agli zii e ai cugini, io sono stata la prima ad arrivare a conseguire un diploma di scuola superiore. Studiare nella mia famiglia era considerato un’inutile perdita di tempo e di denaro, soprattutto se a studiare era una ragazza. Lo studio era eccezionalmente consentito solo nel caso in cui il diploma desse accesso ad una professione certa, ad un impiego immediato. Il liceo non soddisfava certo questi requisiti e dovetti lottare parecchio per ottenere il permesso di frequentarlo. I libri e lo studio erano quindi uno strumento per “evadere” dalla rigida e asfissiante realtà di provincia. Studiavo e sognavo un mondo diverso, ordinato, armonioso, bello come quello che leggevo sui libri e che imparavo a conoscere.
Questa era la realtà di tante famiglie delle piccole periferie rurali come la mia. E immagino che, ancora oggi, sia la realtà di tante ragazze che vivono condizioni sociali, economiche e culturali ai margini.
L’ambiente universitario non fu poi così tanto migliore. Ricordo diversi professori che, in sede d’esame, sminuivano la nostra preparazione chiedendo a noi ragazze se ci fossimo iscritte solo per trovare marito. C’erano anche professori che ritenevano che le ragazze in laboratorio fossero utili solo per lavare la vetreria: a loro non veniva offerta nessuna tesi di laurea. Oggi non assistiamo più a questi estremi e la condizione delle donne, almeno all’interno dei dipartimenti, è in gran parte migliorata. Il merito lo si deve alla tenacia e alla determinazione di tante donne che non si sono arrese e hanno continuato a lavorare duramente e a rivendicare i loro meriti e il loro posto nei diversi ruoli.
Credo che tale determinazione, unita ad una sempre maggiore consapevolezza dei propri diritti e delle proprie capacità, sia ciò che ancora oggi serve per continuare su questa strada.

Recentemente ha partecipato alla nostra Primavera delle Pari Opportunità, portando la sua esperienza in una scuola primaria di Trezzano sul Naviglio, incontrando due classi di quinta. Ci può raccontare come è andata? è un’esperienza che desidera ripetere?

Lavorare e confrontarmi con i bambini e le bambine è sempre un’esperienza che mi arricchisce non solo dal punto di vista didattico.. Per questo accolgo sempre molto volentieri l’invito ad andare nelle scuole. Devi entrare nei loro pensieri, intercettare i loro sguardi, le loro aspettative senza lasciare indietro nessuno e nessuna perché, ciascuno/a è unico/a e irripetibile ed è per lui, o per lei, che tu sei lì. E’ un po’ come tornare bambini e provare a riguardare il mondo con la loro meraviglia, con la loro curiosità, che poi era anche la mia. Ed è su questa curiosità che ho fatto leva provando, con una manciata di tipi di pasta diversi, un piccolo spago, un foglio e una penna, a portarli dentro il mio mestiere, che in fondo è quello di montare e smontare costruzioni molto piccole, come se fossimo dei ciechi con le dita sensibili, come dice Primo Levi nel suo romanzo “La chiave a stella”. Abbiamo quindi usato i trucchi intelligenti e potenti che ogni chimico, da buon esploratore, usa per poter riconoscere le molecole e costruirle, senza vederle. Abbiamo imparato a dare loro un nome, a smontarle di nuovo per costruirne di nuove. Nel giro di un’ora la stechiometria, questa parola dal significato così misterioso, non aveva più segreti.

C’è qualche consiglio che si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada ma hanno ancora incertezze e timori?

Dare dei consigli di carattere generale per me è sempre molto difficile perché ogni ragazza è una storia a sé. Dovendo però parlare in generale, mi sento di dire loro di non avere mai paura di pronunciare la frase: “questo non lo so”. Se Marie Curie non avesse detto “non lo so”, e se non fosse stata mossa dalla curiosità e dallo stupore di comprendere proprio ciò che non sapeva, probabilmente sarebbe diventata una semplice insegnante di chimica per giovani ragazze di buona famiglia. Non precludetevi nessuna strada e non abbiate paura di cercare le vostre risposte e di realizzare i vostri sogni, senza farvi condizionare da timori e pregiudizi, spesso di carattere culturale. Per avvicinarsi alle discipline STEM, ed esercitarle con soddisfazione a diversi livelli, non occorre infatti avere dei super-poteri, provenire da un certo tipo di famiglie, di quartiere, di città, aver frequentato solo certe scuole. Come la mia storia, e quelle di tante colleghe e amiche testimoniano, basta lasciarsi trasportare dalle ali dei propri “non so”.
La speranza dunque è che le ragazze delle prossime generazioni possano intraprendere questa strada guidate sempre più solo dal loro spirito di curiosità e dal desiderio di conoscenza, e sempre meno da uno spirito di sfida, di lotta nei confronti di una cultura che le limita e le discrimina. Questo cambio di paradigma non spetta solo a loro ma interroga anche le nostre responsabilità nel costruire quelle reti in grado di fare da supporto per quelle ragazze, e quelle donne, che ancora pagano un prezzo troppo alto. Penso che Primavera delle Pari opportunità sia una di queste reti che vale dunque la pena di sostenere e rendere sempre più efficace.