Paola Colombo

General Manager Adtech & Business Dev. Publitalia ’80

Dott.ssa Colombo, si è laureata in Ingegneria Chimica, oggi è General Manager Adtech in Publitalia ’80. Cosa l’ha portata a scegliere questo percorso? Ci può raccontare in poche parole di cosa si occupa?

Il mio ruolo in Publitalia, gruppo Mediaset, è quello di innovare i prodotti pubblicitari grazie alle nuove opportunità che la tecnologia e la digitalizzazione dei mezzi e dei contenuti offrono. il mio è un ruolo che trovo assolutamente stimolante, mai uguale a se stesso, in cui quotidianamente ci sono novità da studiare e situazioni mai affrontate da governare.
È stato proprio il desiderio di sfida e di cambiamento continuo che mi hanno portata da Ingegneria Chimica al mondo della pubblicità, passando per la finanza a Londra e con una breve parentesi studentesca nella Agenzia Spaziale Europea. Ho scelto via via le opportunità che si sono presentate in base agli stimoli e alla curiosità che suscitavano. Devo ammettere che sono cambiati molto gli ambiti, ma rimane sempre l’approccio pragmatico e volto al problem solving che gli studi di ingegneria mi hanno insegnato e che si applica a qualunque disciplina.

Quando era piccola cosa sognava di fare da grande? E’ sempre stata portata per le materie STEM? La scuola le ha fornito un orientamento? La sua famiglia l’ha sostenuta nella scelta?

Da piccola sognavo di fare la scienziata: mi hanno sempre appassionato giochi come costruzioni, smontare elettrodomestici e osservare le reazioni di vari materiali mescolati tra loro. A scuola ero ugualmente brava nelle materie umanistiche tanto in quelle scientifiche e devo dire che moltissimo hanno inciso i miei professori che a momenti mi hanno quasi scoraggiata nelle discipline STEM. Fortunatamente la passione e la determinazione hanno vinto e ho scelto la mia strada, indipendentemente da chi cercava di mettermi in guardia e di demotivarmi. La mia famiglia mi ha sempre supportata mentre professori, amici e conoscenti mi ripetevano che ingegneria era una facoltà maschile, che avrei trovato dei lavori poco adatti a conciliare maternità e professione e che sarebbe stata molto dura. Per me vincere questi stereotipi è stata una motivazione fortissima ad andare avanti.

Ci sono barriere secondo lei che generano discriminazione nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà?

Direi che le barriere sono innanzitutto culturali. Io venivo da un liceo femminile e ricordo lo shock delle battute svilenti dei professori universitari nei confronti delle donne: non potevo credere alle mie orecchie. Avendo vissuto in un ambiente femminile ero convinta che la discriminazione fosse esagerata e quasi utilizzata come pretesto, ma frequentando l’università mi sono dovuta ricredere.
Esistono poi altre barriere specifiche del nostro paese e generalizzabili ad altri ambiti, oltre a quello STEM: la cultura del lavoro in Italia ammette ancora poca flessibilità e punta molto sulla quantità di ore passate in ufficio invece che sulla qualità: questo penalizza i genitori e in particolar modo le donne, su cui nella maggior parte dei casi ricadono tutte le responsabilità della cura della famiglia. Altri paesi europei, come la Francia, hanno delle politiche familiari molto più solide che permettono più flessibilità da un lato e maggior supporto dalle istituzioni.

A suo parere, l’Italia sta facendo abbastanza per orientare le giovani donne agli studi STEM? Cosa bisognerebbe fare per migliorare le cose?

Un cambio culturale nel nostro paese richiede probabilmente decenni e per questo motivo la parità in questo campo andrebbe costruita nella scuola, fin da piccoli: dai primi anni alle bambine vengono ancora proposti giochi più di ruolo e artistici, completamente diversi da quelli maschili, più basati su capacità logico matematiche. Bisogna cambiare questi bias culturali che influenzano anche insegnanti ed educatori.
Successivamente proporre dei role model nel momento di orientamento degli studenti può essere utile e penso aiuterebbero dei programmi di mentorship nelle università e nelle aziende, non solo per le giovani reclute ma anche per i manager di esperienza: serve educare alla ricchezza che la diversità genera. L’omologazione sul lavoro è più semplice da gestire, ma sicuramente molto meno efficace e poco adatta al cambiamento.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Consiglierei loro di perseguirla perché non c’è niente di più bello che seguire la propria passione e di essere felici svolgendo il proprio lavoro. In più ogni donna che intraprende questa carriera ne incoraggia altre a fare lo stesso e ne aiuta altre ancora ad avere successo.

Le donne in questo ambito sono preziose: il pragmatismo femminile unito all’intelligenza emotiva che si sviluppa anche solo per districarsi in un ambiente così pieno di pregiudizi sono rare e sicuramente aiutano la performance delle aziende.

Consiglio inoltre di fare squadra con le altre donne, perché la complicità aiuta tantissimo - come ci dimostrano i colleghi uomini - e infine di trovare un mentore. Nella mia carriera è stato importante avere figure di riferimento che mi abbiano aiutata a guardare le cose sotto punti di vista nuovi e mi abbiano stimolata a credere in me stessa anche quando ero sul punto di abbandonare una sfida.