Sandra Malvezzi

Direttrice della sezione INFN di Milano Bicocca

Nel 1987, si laurea in Fisica all’Università degli Studi di Milano con 110/110 e lode lavorando ad un esperimento presso il Fermilab di Chicago. Vince una Borsa di Studio Nazionale INFN e nel 1988 accede al Dottorato di Ricerca in Fisica presso l’Università degli Studi di Milano. Consegue il PhD nel 1992 e, dopo un’esperienza Post-Doc all’Università di Pavia e al TUM (Technical University Munich), diventa ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, all’interno del quale sviluppa la sua carriera scientifica. Lavora presso vari laboratori nazionali/internazionali: Fermilab (Chicago, USA), Laboratori Nazionali del Gran Sasso (Italia) e CERN (Ginevra).  Presso il CERN collabora tutt’oggi all’esperimento CMS che ha contribuito alla scoperta del Bosone di Higgs. Negli anni ha rivestito cariche di coordinamento nei vari esperimenti e nei comitati scientifici e di valutazione e selezione internazionali.

Dott.ssa Malvezzi, Lei è Direttrice della sezione di Milano Bicocca dell’INFN l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, al CERN collabora all’esperimento ha portato alla scoperta del Bosone di Higgs, ci può raccontare brevemente del suo lavoro?

Nel mio ruolo di Direttrice mi occupo del buon funzionamento della Sezione assicurandomi che tutte le realtà che la compongono (Amministrazione, Servizi di Alta tecnologia per la Ricerca, Ricercatori) lavorino in armonia.
E’ come dirigere un’orchestra: una buona musica, ovvero la qualità della ricerca, derivano da un buon coordinamento d’esecuzione. Credo molto nel gioco di squadra. Siedo inoltre nel Consiglio Direttivo INFN che ha la delicata responsabilità di operare le scelte di programmazione scientifica dell’ente.
Come ricercatrice di Fisica delle Particelle elementari studio l’infinitamente piccolo e le sue connessioni con l’infinitamente grande per contribuire a dare risposta alle domande che hanno guidato il pensiero filosofico nel corso dei millenni: quali sono i costituenti ultimi della materia? Come si “muovono”? Che cosa “li muove”? Come “funziona l’Universo”? Come si è evoluto?
Il CERN di Ginevra ospita il più grande acceleratore al mondo LHC (Large Hadron Collider).
In esso i protoni circolanti si scontrano con tale energia che parte di essa si trasforma in massa, secondo la famosa equazione di Einstein E=mc2, creando per brevi istanti anche particelle che sono esistite solo al tempo del Big Bang.
Studiando le particelle prodotte possiamo capire cosa è successo al momento dell’urto e risalire ai processi fondamentali che regolano la natura. LHC è infatti equivalente ad un potente telescopio per indagare i costituenti ultimi, ovvero i mattoni, della materia.
In LHC si possono riprodurre le alte densità di energia e temperature simili a quelle che esistevano nell’Universo primordiale; è un po’ come andare indietro nel tempo per studiare l’evoluzione dell’Universo.
Proprio queste condizioni hanno permesso la scoperta del bosone di Higgs.
Secondo la teoria prevalente, il campo di Higgs permea tutto lo spazio vuoto dell'universo in qualsiasi istante. Nei momenti iniziali (in termini del centesimo di miliardesimo di secondo) dopo il Big Bang tale campo avrebbe subìto una transizione di fase innescando un "meccanismo" che dà massa alle particelle: prima di questa transizione, tutte le particelle erano prive di massa e viaggiavano alla velocità della luce. Dopo che l’universo si è espanso e raffreddato, le particelle hanno cominciato ad interagire con il campo di Higgs e questa interazione conferisce loro massa.




Poiché i bosoni di Higgs sono estremamente rari, sono necessarie sofisticate tecniche di analisi per individuare gli eventi di segnale all’interno di elevati fondi derivanti da altri processi
dovuti alle collisioni.
Il mio contributo personale all’esperimento CMS, uno dei due grandi esperimenti che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs, è proprio nell’analisi dei dati.

Quando era piccola, cosa sognava di fare da grande? Si è laureata in fisica, cosa l’ha portata a scegliere questo corso di studi?

Ho accarezzato diverse possibilità, dal medico alla giornalista! Mi è sempre piaciuto studiare per conoscere cose nuove e soddisfare la mia curiosità.
Diciamo che mi sono sempre trovata a mio agio con i numeri e la matematica.
Alla fine ha prevalso il mio desiderio profondo di capire come funzionasse il mondo osservabile e ho scelto Fisica.

Come ha iniziato la sua carriera? Ha mai incontrato difficoltà in quanto donna?

Ho svolto la mia tesi di Laurea nell’ambito di un esperimento al laboratorio Fermilab di Chicago, negli Stati Uniti.
La mia scelta è stata dettata, oltre che dall’interesse prettamente scientifico dell’argomento (Foto-produzione di quark charm), dall’opportunità offerta di lavorare in un grande laboratorio oltre oceano. Ho scoperto un modo di lavorare efficace e pragmatico. Mi sono sentita inserita nell’esperimento e rispettata nonostante la mia giovane età. Non c’erano molte studentesse: non mi hanno fatto sconti ma non mi sono sentita discriminata. Certo mi sono fatta i turni di notte in sala sperimentale con cambio delle bombole dei gas necessari per i rivelatori, sotto la neve, come tutti gli studenti maschi, forse soffrendo un po’ di più il freddo…e a Chicago il freddo si sente!
In quegli anni si stava istituendo in Italia il Dottorato di Ricerca. Sono stata ammessa, per concorso, al quarto ciclo ….e da quel momento ho cominciato la mia avventura di ricercatrice.
Certamente ho avvertito qualche diffidenza in quanto donna. Tuttavia, nel complesso, il mondo della Fisica è “in generale” disposto a riconoscere i meriti: il successo degli esperimenti è l’obiettivo comune e rispetto a questo si valuta il contributo dei singoli nel rispetto delle diversità. Certo ci sono eccezioni sgradevoli ma come diceva il sommo poeta : non ragioniam di lor ma guarda e passa.

A suo parere, cosa si potrebbe fare per incoraggiare ed esortare le giovani donne ad intraprendere studi STEM?

Penso ci siano due parole chiave: disseminare e includere.
L’INFN è molto impegnato sul fronte della valorizzazione della conoscenza.
La scienza va divulgata, con la giusta semplificazione pur conservando il necessario rigore; Einstein diceva “ogni cosa deve essere resa il più semplice possibile, ma non più semplice”. La passione, la curiosità dei ricercatori può avvolgere i giovani e conquistare il loro interesse rendendoli più consapevoli del valore della scienza e delle loro potenzialità individuali. C’è un bisogno sentito e condiviso di parlare di scienza tra chi la ricerca la fa di professione e la produce e chi ne usufruisce. Chi fa ricerca deve assumersi anche la responsabilità di formare le nuove generazioni e aprire le loro menti, affinché nuova conoscenza possa raggiungere il maggior numero di ragazzi e ragazze.
Io penso, e mi sono personalmente impegnata a riguardo, che si debba partire dalle bambine e la scuola primaria possa giocare un ruolo importante. Diverse ricerche suggeriscono che la percezione personale delle materie scientifiche sia influenzata da esperienze in età molto giovane:i i bambini della scuola primaria prendono decisioni inconscie riguardo alla scienza e/o alla tecnologia: sono / non sono interessato/a, è / non è una cosa per me. In media le bambine sembrano decidere inconsciamente verso gli 8 anni che la scienza è ”una cosa per maschi”. La curiosità dei bambini piccoli è immensa, sono assetati di cose nuove anche astratte. Bisogna intervenire lì per educare alla scienza, ovviamente includendo esperti di realtà diverse con competenze trasversali anche in pedagogia, comunicazione ecc. L’intervento deve essere calibrato sui piccoli. Il divertimento e l’imparare giocando sono elementi essenziali dell’apprendimento in giovane età: senza sminuire il contenuto scientifico si devono individuare percorsi fruibili.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM ma hanno ancora incertezze e timori?

Il consiglio è di non farsi condizionare dagli altri e credere in se stesse. La sfida è comunque e sempre un elemento di crescita. Anche le possibili difficoltà iniziali, o qualche piccolo fallimento, non devono spaventare. Spesso le donne hanno più paura di sbagliare degli uomini: il mio invito è quello di osare.
Il confronto personale con donne che hanno intrapreso carriere STEM può essere utile.
Relativamente alla sfera più personale: io ho avuto la fortuna di poter fare una famiglia; quanto sia riuscita a conciliare ricerca e vita privata andrebbe chiesto a mio marito e ai miei figli ....sicuramente per loro una prova di tolleranza e affetto, per me di grande ricchezza. Con qualche fatica e qualche strappo, in ogni caso, si può fare.