Sara Sattin

Professore Associato, Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Milano

Prof.ssa Sattin ci può raccontare di cosa si occupa e in cosa consiste il suo lavoro?

Sono una scienziata all’interfaccia tra la chimica organica e la chimica biologica. In particolare mi occupo di progettare e sintetizzare nuove molecole che servono a bloccare processi cellulari patologici. Per esempio ho sviluppato antimicrobici in grado di prevenire l’adesione di virus alle mucose umane (tra cui HIV, Ebola e anche SARS-CoV-2) e al momento sto sviluppando un progetto finanziato dell’UE per combattere le infezioni croniche e prevenire la resistenza agli antibiotici.
Nel mio gruppo di ricerca (https://sites.unimi.it/sattinlab/) progettiamo le molecole in silico (utilizzando software di modellistica molecolare), le sintetizziamo (cioè “costruiamo” nella realtà le molecole progettate al computer) e studiamo gli effetti che queste hanno sul nostro target.

Si è laureata in Chimica Industriale e Gestionale, cosa l’ha portata a scegliere questo corso di studi? E’ sempre stata portata per le materie STEM?

Nel mio caso la scelta del corso di laurea è stata il naturale proseguimento degli studi superiori a un Istituto Tecnico per la Chimica. La scelta, se vogliamo, l’ho fatta al momento di decidere la scuola superiore: anche se mi piacevano le lingue straniere e sognavo di fare l’archeologa, prediligevo le materie scientifiche, per cui ero effettivamente portata. Alla fine ho scelto la Chimica perché mi affascinava l’idea di poter manipolare e trasformare la materia, creando qualcosa di nuovo e utile.
In retrospettiva posso dire che anche i lunghissimi test di orientamento fatti all’epoca sono stati utili a evidenziare attitudini e punti di forza e a guidare la mia scelta.

Secondo lei ci sono ancora barriere nei confronti delle donne che vogliono entrare o avanzare nelle carriere scientifiche? Nel suo percorso lavorativo, ha mai incontrato difficoltà?

Limitatamente alla mia esperienza non ho riscontrato barriere formali di accesso per le ragazze agli studi STEM. È pur vero che, se all’istituto tecnico eravamo circa la metà della classe, all’ingresso all’Università a Chimica Industriale eravamo non più del 25%.
Credo che le barriere maggiori rimangano a livello famigliare: se i tuoi genitori, o chi per essi, ti fanno crescere con la convinzione (limitante e sbagliata) che una certa disciplina non sia adatta a te in quanto donna o, peggio, sia al di sopra delle tue capacità, è difficile che una ragazza scelga comunque un percorso di questo tipo che è indubbiamente già impegnativo di per sé.
In questo senso io sono stata fortunata perché ho avuto una famiglia che mi ha sempre supportata negli studi senza impormi mai la scelta del percorso da intraprendere, cosa di cui sono loro molto grata.
Avanzare nella carriera scientifica è invece un discorso un po’ diverso. A mio avviso ci sono ancora diversi bias da superare e una donna deve ancora dimostrare di saper fare meglio di un uomo per essere considerata allo stesso livello. Fortunatamente si stanno attuando diverse iniziative volte a dare visibilità – e quindi opportunità – alle donne in STEM a tutti i livelli, per cui sono fiduciosa che nel tempo migliorerà anche questo aspetto.
A proposito di visibilità e opportunità nell’avanzamento di carriera ho un ricordo che mi è rimasto impresso: quando ho vinto una borsa per la conferenza di stereochimica a Buergenstock, in Svizzera, eravamo in 14 giovani ad avere la borsa e io ero l’unica donna. All’epoca ero post-doc come molti miei colleghi e ricordo di aver pensato che sicuramente in Europa ci fossero molte donne nella mia posizione che avrebbero beneficiato di una vetrina così prestigiosa, il punto sarebbe stato semplicemente sforzarsi di trovarle. Quando penso ai discorsi sulle quote rosa penso a questo episodio: non è questione di essere 50/50, piuttosto di avere una distribuzione di genere che sia almeno in linea con la realtà o, ancora meglio, volta al cambiamento, cosa che una rappresentanza inferiore al 10% certamente non è.
Da parte nostra dobbiamo sicuramente fare uno sforzo per migliorare la nostra comunicazione e imparare un po’ di sana autopromozione.

A suo parere, cosa si potrebbe fare per incoraggiare ed esortare le giovani donne ad intraprendere studi STEM?

Giocherei d’anticipo, organizzando, fin dalle scuole elementari e medie, degli incontri con donne che hanno svolto studi STEM: non si può aspirare ad essere ciò di cui non si conosce nemmeno l’esistenza. A questo proposito ho apprezzato molto l’iniziativa recente della Mattel di realizzare una Barbie raffigurante la Prof.ssa Sarah Gilbert, la scienziata britannica che ha sviluppato il vaccino anti-Covid AstraZeneca, come anche quella ispirata alla nostra astronauta Samantha Cristoforetti. È fondamentale per i bambini avere dei modelli da emulare, la possibilità di sognare senza porsi dei limiti e di giocare con ciò che più li incuriosisce e diverte, senza venire incasellati in ruoli predefiniti da altri.
Per le giovani donne che sia affacciano alla scelta del percorso universitario invece, nei casi in cui non ci fosse già una buona consapevolezza delle proprie capacità e attitudini, penso che dei percorsi di orientamento ben strutturati possano fare la differenza. La possibilità di accedere a borse di studio per le ragazze che non vengono sostenute in famiglia nelle loro scelte potrebbero poi aiutare a superare eventuali indecisioni.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e vorrebbero intraprendere questa strada?

Di seguire le proprie passioni, essere curiose e di rimanere fedeli ai propri valori. Di impegnarsi molto per acquisire delle basi solide e non per il voto dell’esame. Di spingersi sempre un po’ più in là dei propri limiti e non accontentarsi della mediocrità. È un mondo a volte anche molto competitivo e ci saranno momenti di incertezza e scoraggiamento, ed è in questi momenti che bisogna ricordarsi che la competizione è solo con noi stessi: la linea di partenza non è, ahimè, uguale per tutti, ed è bene tenerlo a mente. Concludo con una nota più positiva dicendo che, nonostante tutto, fare ricerca è, a mio avviso, uno dei lavori più belli del mondo. Ci consente di esplorare l’ignoto e sfidare noi stessi ogni giorno.