Silvia Bernardini

Ceo & Founder Sky Walker

Gentile Silvia, si definisce “Innovation Project Specialist”, ci può raccontare di cosa si occupa e il suo percorso di studi e professionale?

Devo aggiornare il mio profilo linkedin… scherzi a parte, arrivo da un percorso umanistico (lingue e letterature straniere, e in seconda laurea sociologia) e l’osservazione comparativa mi ha sempre permesso di individuare analogie e differenze da punti di vista inaspettati.
Solo che, figlia di artigiano, la testa in cielo e i piedi ben piantati per terra, ho sempre avuto la necessità (o forse la fortuna) di dovermi mantenere agli studi, e per quanto la mia creatività fosse (e forse un po’ ancora lo è) vivace, l’aspetto pratico della messa a terra è sempre stato privilegiato non nella logica del “blocco”, ma nella logica dell’opportunità produttiva.
Quindi da “venditrice” di corsi di formazione, a formatore professionale autonomo, a titolare di una piccola società di persone, a socia di una società di design, a fondatrice di una piccola start up che si è tuffata nella digitalizzazione umana e intelligente, al punto da passare in coerenza a PMI innovativa con due asset ben definiti. Niente progetti esagerati e niente numeri da capogiro, ma progetti speciali, originali, a misura d’uomo…. E di donna, sempre reinventandosi quel tanto che bastava per suggerire originalità e freschezza ai propri prodotti e servizi.

Ha fondato SKY WALKER, un think tank digitale per il quale ha vinto recentemente anche il XV Premio ITWIIN come Migliore Innovatrice, per aver creato un nuovo modo di far impresa, cambiando la prospettiva e combinando l’innovazione umana a quella digitale. Ci può raccontare di cosa si tratta?

Sky Walker è l’insieme di coloro che “camminano nel cielo” e vedono orizzonti diversi, prospettive inaspettate, punti di vista non usuali.
E’ stata definita a Londra una “Umbrella Company” nella logica della cornice che “protegge” i propri consulenti grazie a strumenti di condivisione, certificazioni, riconoscimenti che danno valore al lavoro di tutti.
Il nostro ufficio è un ufficio virtuale, creato per dare a tutti uno spazio contemporaneamente individuale e collettivo con l’obiettivo di creare team coesi che possano lavorare da “dovunque sono”: chi da Utrecht, chi da Santa Sofia D’Epiro, chi da Milano, chi da Lussemburgo, chi da Lecce, non ci sono limitazioni.
Ma lo strumento non va confuso con la relazione, e quindi periodicamente piccole riunioni condivise con tutti quelli che possono: un punto di contatto umano che da colore e tridimensionalità allo schermo e che permette di approfondire la conoscenza reciproca, creando momenti di maggior conoscenza, coesione e di brainstorming collettivo.
Le realizzazioni digitali riguardano in particolare piccole azioni poco attenzionate ma che se automatizzate permettono di risparmiare tempo denaro e carta: Bep© è un sistema di gestione della formazione che permette di tracciare la formazione su cloud in tempo reale, evitando registri cartacei e perdite di tempo, e MySkillValue© è un sistema che grazie ad una osservazione congiunta evidenzia lo stato dell’apprendimento, evidenziando predisposizioni e aree di miglioramento.
Lavorando sul processo si automatizza ciò che serve a dare spazio ad una maggiore umanità, riprendendo in mano il proprio tempo per decidere come metterlo a frutto.
Ma la digitalizzazione è un aspetto che non può funzionare da solo, e soprattutto se non ci sono menti pensanti e pensieri critici che lo accompagnano diventa un momento di sterile banalità. Ecco allora che progetti più aziendali come Opera© o più sociali come Progettista Di Quartiere© si mettono alla prova grazie a contaminazioni di saperi volti a produrre output pratici e misurabili.
E’ nella bellezza del condividere che le persone capiscono un concetto fondamentale: per quanto gli aspirapolveri Dyson siano belli ed efficienti, serve sempre qualcuno che li programmi, li usi e ne faccia manutenzione, diversamente comunque la casa non si pulisce da sola….

Nella sua carriera ha mai incontrato difficoltà in quanto donna?

Sembra sciocco a dirsi, ma quando mi evidenziano che nella mia azienda ci sono più donne che uomini, la mia risposta è che per gli uomini è molto difficile lasciarsi guidare da una donna: quando il management è femminile, questo attira naturalmente più donne che uomini cosa che se da una parte rappresenta un punto di forza nello sviluppo di una nuova forma di impresa “rosa”, dall’altra perde un po’ di vista il valore di avere una naturale diversità e diversificazione di pensiero.
E comunque le difficoltà maggiori sono state dettate da alcuni fattori (per quella che è la mia esperienza):
- Un primo stadio di immaturità mia personale che mi portava ad imitare “guru” maschi, assumendo atteggiamenti poco adatti ma apparentemente necessari per arrivare verso le posizioni apicali
- Un secondo stadio di rigetto e ricerca di un modello completamente avulso ed esasperato, spesso in antagonismo con il sesso opposto e quindi pregiudicante e poco produttivo
- Un terzo stadio di presa di coscienza e assunzione di responsabilità anche verso gli altri, con la ridefinizione di un codice di comportamento coerente e una necessità di essere fedele a me stessa in quanto persona, prima che uomo o donna, con la volontà di rivedere tutto in una logica di umanità e talento

Nel nostro Paese esistono ancora barriere che impediscono alle giovani donne di diventare imprenditrici? Cosa si potrebbe fare per migliorare le cose?

Più che barriere, siamo ancora di fronte ad una società statica che fatica a gestire il cambiamento di ruolo e tende a giudicare senza approfondire motivazioni, esperienze di vita, opportunità. In questo viaggiare all’estero mi ha aiutata molto.
Non credo che ci siano barriere effettive, coscienti, ma penso che ancora non si sia creato un contesto equo e agevolativo, perché nella maggior parte delle volte non c’è consapevolezza di quanto uomo e donna siano diversi, e nel dubbio ci si affida allo stereotipo.
Una delle cose che mi ha permesso di essere me stessa e di sfidare il contesto è stata la maternità: un atto che ho vissuto volendo NON scegliere tra lavoro e famiglia, ma riorganizzandomi per gestire entrambi.
Nell’ambito lavorativo c’è questa necessità di vedere la maternità come un punto di svolta, un momento di scelta, una necessità che ti obbliga a decidere come se fosse un bivio cui la vita ti mette di fronte. Di fatto la maternità è un mettersi in gioco a prescindere dalla propria ambizione o aspirazione, ed è bloccante solo se la viviamo con l’ansia della società che ci punta gli occhi addosso: se invece la viviamo come un momento passeggero in cui il focus e l’attenzione devono fare i conti con altro, diventa solo una nuova prova organizzativa dalla quale uscire vincenti.
Le cose non si migliorano da fuori, ma partono sempre da condivisione di esperienze: ad esempio diffondere informazioni su ragazzi e ragazze stranieri alla pari come baby sitter alternativi che insegnano ai propri figli ad apprezzare la diversità; frequentare co-working con nursery e/o attrezzare il posto di lavoro con scaldabiberon e microonde, gestire i propri obiettivi secondo una giornata che non è fatta di 8 ore consecutive, ma magari di piccoli momenti da due ore per poter anche fare altro: la capacità organizzativa è patrimonio dell’umanità, facciamone un punto di forza e suggeriamo opportunità invece di imporre quote rosa e tutele.
Obbligare alla quota rosa non agevola il femminile, acuisce la differenza e non esalta i talenti, e spesso crea sentimenti di contrasto perché la donna viene percepita come “obbligo”.
Ribaltare il concetto di maternità come elemento valutativo della capacità autoorganizzativa, evidenziare l’ingenuità e la poca volontà di confronto di quanti considerano l’essere donna un limite, suggerire un concetto di famiglia basata sulla collaborazione piuttosto che sulla divisione dei ruoli di sicuro amplifica tutto questo, perché parte da un livello precedente al posto di lavoro, e molto più dal basso. Diffondere cultura per quanto complesso è un passo necessario e deve essere proposto e accelerato.

Ha qualche consiglio per le ragazze che vorrebbero avviare una propria start up ma hanno ancora incertezze e timori?

Ascoltate, studiate, parlate, tutelatevi ma chiedete consigli, cercate gruppi di lavoro, costruite gruppi di lavoro, e non temete di fare errori: anzi, preoccupatevi se non ne fate, perché vuol dire che la vostra capacità di apprendimento sarà arrivata al capolinea.