Gentile Silvia, dopo il liceo classico si è laureata in Fisica e ha conseguito un Master in Applicazioni Fisiche ai Beni Culturali e Tecniche di Restauro presso il Louvre. Come ha scelto questo percorso di studi?
Il mio percorso è sempre stato caratterizzato dalla multidisciplinarietà. La ricerca mi appassionava, sia nello studio che nell'apprendimento. Penso, ad esempio, all’ambiente che ci circonda: la realtà può essere osservata da diverse prospettive—chimica, biologica, storica—che si integrano in un fenomeno unico. La stessa cosa può essere vista da molteplici punti di vista, un concetto che oggi definiremmo "multilateralità" in termini geopolitici. Mi è sempre piaciuto immaginare di avere in mano un cubo di Rubik, girando i lati per osservare le cose da angolazioni diverse. Questo approccio è stato la stella polare che ha guidato le mie scelte. Ho studiato al liceo classico, ma poi ho scelto una disciplina scientifica, senza mai abbandonare la passione per l’antichità e la cultura classica.
Al Louvre mi sono appassionata ai beni culturali, vedendo scienza e tecnologia come strumenti affascinanti per il loro impatto sulla realtà, soprattutto in ambito sociale e culturale. L’effetto della scienza è quanto di più sorprendente ci possa essere. Penso che saperla comunicare bene sia essenziale: con la consapevolezza scientifica aumentano i gradi di libertà dell’umanità.
Questo percorso, che alcuni potrebbero definire "bizzarro" e altri "eclettico", è stato ispirato anche dalla lettura di Richard Feynman, un grande fisico che nel suo libro *Il piacere di scoprire* descrive il continuo desiderio di avanzare, sia nella ricerca scientifica che in altri campi. È importante mantenere lo stupore e la meraviglia, ciò che ci rende unici in un’epoca in cui si parla tanto di intelligenza artificiale. Una macchina potrà fare molte cose meglio di noi, ma il desiderio di scoprire è tipicamente umano. Questo è l’augurio che faccio alle nuove generazioni: non perdere mai il desiderio di spingersi oltre
Riguardo agli studi classici, spesso incontriamo ragazze che ritengono di non poter più cambiare indirizzo dopo il liceo classico. Ha trovato difficoltà a intraprendere un percorso STEM?
Assolutamente no. Anzi, se c’è un aspetto del mio percorso di cui sono sempre stata fiera, è proprio la scelta del liceo classico, che considero una “palestra” unica anche per affrontare le discipline scientifiche. L’approccio al latino, al greco e alla cultura classica apre la mente in modo straordinario, regalando una prospettiva più ampia rispetto per esempio ad un liceo scientifico, pur essendo quest’ultimo altrettanto valido. Certo, dal punto di vista contenutistico, all’inizio ci si può sentire in svantaggio rispetto a chi ha frequentato licei scientifici o istituti tecnici, ma ciò che il classico ti dà in termini di apertura mentale è impagabile.
Quello che ho appreso durante il classico non mi è più stato restituito dai percorsi successivi, anche perché quelli sono gli anni in cui tutto viene recepito e assorbito in modo amplificato. Ricordo con grande piacere quel periodo formativo, arricchito da ottimi docenti che hanno saputo trasmettermi non solo sapere, ma anche generosità nel condividere la loro visione del mondo. Ancora oggi mi capita di rileggere i testi di letteratura greca, un'esperienza che continuo a trovare affascinante e a cui non potrei mai rinunciare.
Attualmente è Responsabile delle Relazioni e Comunicazione dell'Università di San Marino (UNIRSM) e Communication Expert per il CIHEAM (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes). Collabora inoltre con diverse testate giornalistiche. Ci può raccontare il suo percorso lavorativo?
Il mio percorso lavorativo è stato caratterizzato dall’eclettismo, sia per un’indole vagabonda eternamente in cerca di nuovi stimoli, sia per le opportunità che ho incontrato lungo la strada. Tendo a cambiare quando sento di aver dato il massimo in un ambiente, spinta dalla passione e dal desiderio di imparare. Questo vale sia nelle relazioni umane che professionali. Molti intorno a me hanno percorsi più lineari, mentre il mio è stato più vario, ma non meno coerente di quanto possa sembrare, con filo conduttore nella sintesi tra scrittura e ricerca scientifica.
Ho iniziato con il giornalismo già durante gli anni universitari e ho mantenuto viva questa passione nel tempo, unendo la comunicazione scientifica al mio lavoro in università e centri di ricerca. Negli ultimi anni, mi sono dedicata maggiormente alle relazioni istituzionali, sempre con un focus su temi come i diritti umani, la ricerca scientifica, l’agenda 2030 delle Nazioni Unite, e il benessere delle comunità, soprattutto nei Paesi del sud del mondo. In tutto ciò, la scienza resta il collante
Nella sua esperienza ha mai subito pregiudizi in quanto donna? Come ha affrontato eventuali ostacoli?
Sì, purtroppo ho incontrato pregiudizi, i più insidiosi sono quelli impliciti. Ad esempio, quando una donna ha la "pretesa" di parlare di fisica quantistica o intelligenza generativa, spesso ci si ritrova ad affrontare scetticismi sottili. Oppure, quando si viene invitati a panel per coprire la mancanza di rappresentanza femminile. In questi casi, ho imparato a dire chiaramente che non accetto di partecipare in qualità di "foglia di fico". Se vogliono la presenza di una donna, ne devono accettare almeno due.
È una strada difficile, ma necessaria. Un'altra lezione che ho imparato è l'importanza di scegliere bene i collaboratori: per me è fondamentale lavorare in un ambiente dove c’è rispetto reciproco e condivisione di sensibilità. Se il rapporto parte da una distanza troppo grande, è difficile che si riesca a superare il gap e costruire qualcosa di solido e duraturo.
Vorrei anche fare un appello alle ragazze: non accettate mai di lavorare gratuitamente. Spesso si sente dire che, all'inizio della carriera, è normale lavorare senza compenso per "accumulare esperienze. Questo è un messaggio profondamente sbagliato. Il lavoro deve sempre essere retribuito, perché la dignità professionale parte da lì. Se un datore di lavoro è serio, capisce che le persone hanno spese e responsabilità. Anzi, il messaggio non dovrebbe neppure essere filtrato, tanto è implicito. Purtroppo, non lo è affatto.
C’è qualche consiglio che si sente di dare alle ragazze?
Il consiglio che mi sento di dare è di non smettere mai di sognare. Avere un sogno nel cassetto è essenziale, non tanto per raggiungere un obiettivo economico o professionale, ma per se stesse. Non importa quanto questo sogno sia realizzabile: ciò che conta è mantenere la direzione e puntare in alto. La vita ha spesso più fantasia di noi, e i percorsi che ci porteranno a realizzare quel sogno potrebbero essere molto diversi da quelli che avevamo immaginato.
Per me, il sogno è sempre stato quello di essere libera—nella vita e nel lavoro. E penso che la libertà di imparare sia uno dei doni più grandi che possiamo concederci. Direi che è un lusso!
Quindi, il mio augurio alle nuove generazioni è questo: lavorare con libertà ed essere libere di imparare.