Tiziana Catarci

DOCENTE INGEGNERIA INFORMATICA, DIRETTORE ECONA

Tiziana Catarci, Professore Ordinario, Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale, Università La Sapienza. Direttore del Centro Interuniversitario sull’Elaborazione Cognitiva in Sistemi Naturali e Artificiali (ECONA). Direttore del centro interdipartimentale di ricerca “Sapienza Design Research”. Editor-in-Chief dell’ACM Journal of Data and Information Quality. Ha pubblicato oltre 200 articoli in prestigiose riviste e conferenze internazionali. Autrice di più di 20 libri.

Tiziana Catarci è una delle 100 ricercatrici invitate a far parte del progetto “100 Donne per la Scienza” – http://www.100esperte.it/ – sponsorizzato dalla fondazione Bracco.

Ci può spiegare a grandi linee di cosa si occupa?

Sono una professore ordinario di ingegneria informatica. Faccio ricerca a livello internazionale, collaborando con colleghi di tutto il mondo e vivendo nella comunità scientifica. Continuo a fare interessanti progetti, indispensabili per finanziare assegni di ricerca per le/i giovani e tutte le altre attività correlate. Faccio didattica, cercando di trasmettere conoscenze ed entusiasmo, purtroppo sempre un pò delusa dal bassissimo numero di studentesse nella mia aula, poco più del 12% ad ingegneria informatica. Inoltre collaboro con aziende ed Enti pubblici sulle tematiche di mio interesse, che sono ormai pervasive nella nostra “società digitale”.
Inoltre faccio molto lavoro organizzativo, sono direttrice di due centri di ricerca multidisciplinari, uno interno a Sapienza e l'altro interuniversitario. Purtroppo ho - come ormai tutti i professori universitari – anche molto, troppo, lavoro burocratico, che ruba soltanto tempo a ricerca e didattica. Sono stata anche prorettore in Sapienza per diversi anni e quindi mi sono occupata quasi a tempo pieno di gestione universitaria e strategie.
Negli ultimi anni ho cercato di dedicare una parte del mio tempo ad attività di divulgazione rivolte alle studentesse, per attrarle allo studio dell'ingegneria informatica ed in generale delle materie tecnico-scientifiche.

Quando era piccola, cosa sognava di fare da grande?

Ho sempre amato istintivamente la matematica, guardato "oltre" i numeri ed intuendo il disegno complessivo. Così come mi è sempre piaciuto risolvere i problemi, capire gli enigmi, o anche scovare il colpevole in un libro giallo! Da bambina era questo che volevo fare, un lavoro che mi permettesse di avere a che fare con i numeri e risolvere i problemi. Non ho mai cambiato idea ed è in sostanza quello che faccio.

Come è arrivata alla laurea in Ingegneria Elettronica e al dottorato in Informatica? Qual è stato il suo percorso di studi?

All'università non mi sono iscritta a matematica perché a quel tempo, primi anni 80, lo sbocco di una laurea in matematica sembrava essere soprattutto l'insegnamento nella scuola (ora non è più così, le/i laureate/i in matematica hanno moltissime opportunità lavorative). Quindi ho scelto ingegneria, in particolare ingegneria elettronica (non c'era ancora l'ingegneria informatica).
In aula eravamo tre ragazze su trecento, ma non l’ho vissuto come un problema. Al contrario: posti in prima fila assicurati e colazioni pagate! Ho studiato sempre con un gruppetto di ragazzi, con cui ancora siamo amici. Anni faticosi, ma anche belli e divertenti.
Durante la tesi mi sono innamorata della ricerca, che vedevo soprattutto come "trovare la soluzione ai problemi", esattamente come quello che vedevo nella matematica da bambina.
Come tutte le giovani laureate ho fatto i primi colloqui di lavoro. Al primo colloquio l'esaminatore mi ha detto che non avevo "la faccia da ingegnere", per fortuna i successivi sono stati più "neutri". Ho avuto delle offerte di lavoro, ma alla fine ho deciso di rimanere all'università per tentare il concorso di ammissione al dottorato in informatica, che ho vinto. Dopo un anno di dottorato il mio tutore ha lasciato temporaneamente l'università per un importante incarico pubblico. E così mi sono ritrovata a dovermela cavare da sola. Mi sarebbe piaciuto andare per un po’ di tempo in una università negli USA, ma servivano fondi per coprire il viaggio e la permanenza. Così li ho cercati: allora si cominciavano a fare progetti europei (e non c'era la competizione che c'è ora). Ho avuto il mio primo progetto europeo finanziato quando non potevo neanche essere la titolare dei fondi perché ancora studente di dottorato. E da allora ho portato avanti molti altri progetti, perché per fare ricerca ci vogliono finanziamenti e in Italia non ce ne sono, bisogna andarseli a cercare fuori (ed è sempre più difficile).

E’ sempre stata portata per le materie STEM? Quando è nata questa sua passione?

Come ho detto, ho sempre amato la matematica. A tre anni giocavo a carte con mio nonno e contavo i punti. In seconda elementare facevo le moltiplicazioni con un mio metodo e la maestra mi diceva che copiavo il risultato. Però è stata l'unica insegnante che non abbia capito la mia innata predisposizione per le materie scientifiche, da allora in poi le/i docenti che ho avuto mi hanno in genere incoraggiato e valorizzato.

La scuola le ha fornito un orientamento in questo senso?

A parte la maestra della seconda elementare, che non capiva come io potessi fare le moltiplicazioni “al contrario”, in generale sono stata incoraggiata e apprezzata. In particolare ricordo la mia professoressa di matematica delle Medie che mi portava libri universitari da leggere e mi diceva che avevo una dote naturale. In parte è così, c’è chi sa cantare, chi sa dipingere e chi capisce i numeri e risolve problemi, ma questo non vuol dire che non si possa imparare a cantare, a dipingere o a risolvere problemi se lo si vuole. Nel mio caso, riconosco che ho sempre avuto facilità a studiare, oltre ad avere un’ottima memoria, e questo sicuramente ha reso la mia vita di studente più facile.

La famiglia, gli amici, l’hanno sostenuta nella scelta?

La mia famiglia mi ha sempre incoraggiata. Devo dire che io sono sempre stata una persona determinata, fin da bambina, quindi sarei andata avanti comunque. Il mio motto è “never give up”, al massimo si possono attuare ritirate strategiche, ma non arrendersi… Quando ho finito il liceo e dovevo iscrivermi all’università ho avuto il mio primo incontro con i pregiudizi di genere: all'epoca ero fidanzata con un ragazzo di famiglia molto benestante e il mio potenziale suocero mi disse: "ingegneria? Non è roba da donne. E poi sposando nostro figlio non avrai mai bisogno di lavorare". Per fortuna mi sono iscritta ad ingegneria e ho sposato un altro.

Nel suo percorso di studi o nel mondo del lavoro, ha mai incontrato difficoltà in quanto donna? Ricorda qualche episodio in particolare?

Una volta avviata, la mia carriera è proceduta senza troppi problemi - a parte un concorso in cui sono stata scavalcata immeritatamente e un'operazione alla tiroide sbagliata in cui mi hanno danneggiato permanentemente una corda vocale lasciandomi un anno proprio senza voce. Ma il fatto che fossi una donna non mi ha mai ostacolato particolarmente, qualche piccolo episodio ma niente di rilevante, finche' non sono diventata prorettore e quando mi sono candidata a rettore di Sapienza, la prima donna in oltre 700 anni. Cioè quando sono arrivata vicina a rompere il soffitto di cristallo.
Allora sono cominciate lettere anonime, commenti sessisti, attenzione maniacale al mio aspetto, frasi del tipo "quella signora cosa vuole". E' stata davvero una battaglia, ma comunque una esperienza utile sia per me che per quelle che vorranno tentare in futuro. Infatti, ormai c'è già stata una donna candidata, non fa più notizia, i vecchi baroni si sono già scandalizzati e, per la prossima candidata, anche l'attenzione alla lunghezza della gonna o al colore dello smalto sarà diminuita.
D’altra parte, nell'accademia in genere le donne scontano un pregiudizio non appena provano ad avvicinarsi ai vertici. I dati lo testimoniano: le donne sono meno del 25% del totale dei professori ordinari a fronte di oltre il 45% di quello dei ricercatori. Le rettore sono un errore sperimentale, tanto sono poche. Nel mio specifico settore la platea in ingresso è già fortemente connotata al maschile per cui le donne in posizioni apicali sono davvero mosche bianche.

Quale consiglio si sente di dare alle ragazze che amano le materie STEM e perchè oggi dovrebbero intraprendere questa strada?

Innanzitutto per seguire i propri sogni. La soddisfazione più grande per me è stata riuscire a fare il lavoro che volevo: ricercare la soluzione ai problemi per dare un piccolissimo contributo alla costruzione di un mondo migliore. Poi la possibilità di lavorare in un ambiente internazionale e stimolante. Essere immerse in discipline in continua evoluzione e confrontarsi continuamente sulle proprie certezze. Riuscire a “farcela”, non lasciarsi abbattere dalle difficoltà o dai pregiudizi che sfortunatamente ancora esistono. Non lasciarsi condizionare da chi ancora pensa che esistano mestieri “da uomini” e “da donne” (!!). Non ultimo: avere l’assoluta certezza di trovare un lavoro soddisfacente (e non è poco di questi tempi!)